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La Russia cerca (anche via Apec) uno spazio nel Pacifico

Il pivot to Asia sarmatico vaticinato quasi dieci anni fa si è rivelato un buco nell’acqua. Oggi Mosca si muove in modo incrementale nella regione, senza una visione strategica più approfondita

L’importanza dell’edizione 2023 dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) summit, aletto in questi giorni a San Francisco, è oramai palese: essa fornirà infatti l’occasione per il tanto atteso vertice bilaterale tra il presidente statunitense Joe Biden e il segretario del Partito Comunista Cinese Xi Jinping. Mentre Pechino e Washington vedranno dunque la partecipazione al forum dei massimi vertici politici, Mosca manterrà un basso profilo, facendosi rappresentare dal vice primo ministro con delega all’integrazione eurasiatica Alexey Overchuk. La differenza con l’edizione dell’Apec del 2012 svoltasi a Vladivostok, considerata come l’avvio del “pivot to Asia” in salsa russa, appare decisamente marcata.

Ad oggi la Federazione Russa rimane tutto sommato un attore marginale nel quadrante. Presente, soprattutto militarmente, anche per via di dispute territoriali con altri stati della regione (si pensi al Giappone e al caso delle isole Kurili). Nel decennio scorso l’impellenza di promuovere lo sviluppo economico di aree arretrate come la Siberia e il Far East aveva portato Mosca a volgere lo sguardo a Est. Ma il suo commitment verso la regione è iniziato a calare già dopo il 2014, raggiungendo il punto di nadir all’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina, a causa della sopravvenuta necessità di reindirizzare altrove le risorse economiche e politiche a disposizione del Cremlino. Ma anche della perdita di numerose sponde diplomatiche in quei paesi che hanno condannato l’invasione lanciata dai russi nel febbraio 2022, schierandosi così accanto al blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti.

Gli stessi Stati Uniti, che con il Giappone, sono gli inventori del concetto di “Indo Pacifico”, concetto non apprezzato dalla leadership moscovita in quanto considerato un tentativo di indebolire la cooperazione tra la Federazione Russa e Nuova Delhi, stressando la competizione di quest’ultima con la Cina al fine di incrementare la pressione strategica su Pechino. Le due grandi potenze continentali asiatiche sono state storicamente due grandi partner per la Russia, soprattutto sul piano commerciale: mentre la Cina acquistava materie prime, l’India era uno dei principali clienti russi in relazione all’export di materiale militare. Ma negli ultimi mesi la decisione di Mosca di avvicinarsi sempre di più alla Cina ha fatto si che i rapporti con Nuova Delhi divenissero sempre più freddi. passando da una relazione di natura strategica ad una di natura transazionale. “Questa relazione sta passando da essere una partnership strategica di grande valore ad essere meramente transazionale”, ha dichiarato Sreeram Chaulia, preside della Jindal School of International Affairs, aggiungendo poi che “l’abbraccio più stretto di Mosca alla Cina” non è di buon auspicio per le esigenze di sicurezza nazionale dell’India.

Un abbraccio, quello con Pechino, che potrebbe rivelarsi mortale. Il rapporto tra i due partner è infatti decisamente ineguale. A parlare sono i numeri: in seguito all’imposizione delle sanzioni, la Repubblica Popolare è infatti diventata il principale mercato di esportazione (con una quota superiore al 50%) per la Russia, che la rifornisce di petrolio, gas e grano; viceversa il mercato russo contribuisce solo per il 2% alle esportazioni cinesi. E anche gli interessi strategici globali sembrano essere non sempre sovrapposti, come nel caso del Medio Oriente: avendo pochi strumenti militari per proiettare il potere e proteggere i suoi interessi, la Cina cerca la stabilità delle forniture energetiche globali, e questa prospettiva influenza notevolmente la sua posizione nei confronti delle turbolenze in Medio Oriente. La Russia, al contrario, potrebbe trarre profitto da una disruption nella supply chain energetica che causerebbe un aumento del prezzo delle materie prime e quindi delle sue entrate petrolifere, disperatamente necessarie per finanziare lo sforzo bellico.

Un rapporto quindi molto pragmatico, così come pragmatico è l’approfondimento delle relazioni con la Corea del Nord. Tanto Mosca quanto Pyongyang hanno un reciproco vantaggio nell’accrescere i rapporti commerciali (e non solo) con l’altro attore. A cui si aggiunge un condiviso approccio revisionista al sistema internazionale. Approccio condiviso anche con Pechino, che però si trova in una posizione più complessa rispetto a quella oltranzista assunta tanto dalla Russia quanto dalla Corea del Nord.

Ultimamente però sembra che la portata della diplomazia russa nell’Estremo Oriente si stia spingendo oltre i confini del “fronte revisionista”. All’interno del contesto del Terzo Forum della Via della Seta il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto infatti incontri bilaterali con i leader di alcuni paesi della regione caratterizzati da differenti sensibilità nei confronti degli Stati Uniti, dal Vietnam alla Thailandia, arrivando fino all’Indonesia. Mentre il riavvicinamento con il Myanmar, al cui regime Mosca ha fornito supporto diplomatico e militare, è culminato di recente nelle prime esercitazioni congiunte messe in atto dai due paesi.

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