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Autopsia di una controffensiva. Perché l’azione di Kyiv si è ingolfata

Sull’onda dell’ottimismo, un anno fa si iniziava a concepire la grande controffensiva estiva. Cos’è andato storto? Una ricostruzione dei fatti targata Washington Post

“Mille mezzi corazzati e nove brigate fresche, addestrate in Germania e pronte all’azione”. Così il capo di stato maggiore delle forze armate ucraine Valery Zaluzhny rispondeva alla domanda del Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin su cosa servisse all’Ucraina per mettere in campo un’offensiva estiva. Lo stesso Austin, in separata sede, ammetterà la quasi totale impossibilità di soddisfare le richieste ucraine. Ma nell’autunno del 2022, l’ottimismo trionfava: l’Ucraina non era solo riuscita a resistere alla spallata offensiva lanciata dalle forze armate di Mosca pochi mesi prima, ma era anche riuscita a reagire prendendo in contropiede le forze d’invasione, liberando importanti porzioni di territorio e grandi città, come nel caso di Kherson. La sconfitta della Russia sembrava a portata di mano.

Oggi, dodici mesi dopo, la situazione si è quasi completamente capovolta. In un lungo e dettagliato articolo, il Washington Post mette insieme i pezzi di questo capovolgimento, fornendo preziosi insights sui contrasti e sulle problematiche che si verificavano nella stanza dei bottoni, mentre all’esterno regnava l’ottimismo.

Problematiche emerse già durante la pianificazione del nuovo sforzo offensivo di Kyiv, pianificazione condotta congiuntamente con personale specializzato statunitense e britannico. Nella base dell’US Army a Wielsbaden, Germania, alti ufficiali di Kyiv, Londra e Washington hanno realizzato otto dettagliate simulazioni ricorrendo tanto a sofisticati software per il wargaming quanto all’utilizzo di soldatini spostati sopra ad una mappa delle operazioni. Con l’obiettivo di individuare i migliori approcci da seguire sul piano tattico e operativo, capendo al tempo stesso quale materiale gli alleati occidentali avrebbero dovuto fornire a Kyiv per permettere il successo di questo sforzo. Ottenendo una risposta chiara a quest’ultimo quesito: mezzi corazzati. “Per ottenere i quali abbiamo riunito tutti gli alleati e i partner e li abbiamo spremuti a fondo” afferma un ufficiale americano, che si espone in condizione di anonimità con i giornalisti del WaPo.

Proprio sui risultati di queste simulazioni è stata registrata una prima, importante frattura tra gli ucraini e i loro alleati occidentali. Mentre gli uomini di Kyiv sostenevano un impegno su più direzioni, viceversa lo staff anglo-americano insisteva sul concentrare gli sforzi su un’unica direttrice, quella di Melitopol, con l’obiettivo di tagliare i collegamenti terresti tra la Crimea e l’entroterra russo, e di chiudere in una sacca parte delle forze armate russe schierate in quell’area. Insistendo sul fatto che non solo concentrare le forze avrebbe garantito maggiori probabilità di successo, ma anche che così facendo si sarebbero ridotte le perdite nel lungo periodo.

I motivi dietro alla presa di posizione di Kyiv erano molteplici. Dal ricorso al concetto di maskirovka legato ad un’impostazione dottrinaria di stampo sovietico al volere ricalcare le operazioni dell’anno precedente, coronate da un imprevisto successo. Fino alle motivazioni puramente politiche. Mentre in Germania, al sicuro da occhi indiscreti, si pianificava la mossa decisiva di Kyiv, in Ucraina l’attenzione dei media mondiali si concentrava sul tritacarne di Bakhmut, la Stalingrado del ventunesimo secolo, diventata un simbolo della capacità e della volontà di resistere della nazione invasa. Quando, nel maggio del 2023, i militari ucraini cedevano definitivamente il controllo del centro urbano ai combattenti della Wagner guidati dal loro leader Yevgeny Prigozhin, l’intera dirigenza ucraina con in testa il presidente Volodymyr Zelensky insisteva per mantenere una forte presenza nei sobborghi della città e per includere l’area all’interno delle manovre offensive in fase di preparazione. Drenando preziose risorse (compresi reparti d’élite) dal fronte meridionale.

In generale, i vertici militari ucraini hanno preferito sfruttare la lunghezza del fronte come un vantaggio, contando sulla conoscenza del terreno e sulla diluzione delle forze russe afflitte da problemi di carattere morale e logistico. Riducendo però la concentrazione della potenza di fuoco in singoli punti cruciali. Esattamente il contrario di quanto suggerito dagli ufficiali occidentali. Che però erano consci di avere il ruolo di attori secondari, non di protagonisti. “Conoscono il terreno e i russi. Non è la nostra guerra. E noi abbiamo dovuto fare i conti con questa situazione” commenta lapidario un funzionario dell’amministrazione Usa.

I lavori di preparazione non toccavano soltanto il planning, ma anche il training e il procurement. Per realizzare un’operazione come quella che si stava delineando all’orizzonte, sarebbe stato necessario trasformare l’esercito ucraino da una forza post-sovietica ad una di impianto occidentale. Addestrando rapidamente gli uomini secondo i dettami della dottrina “combined arms” e fornendoli gli strumenti necessari per queste operazioni. Ovvero, come già detto poche righe sopra, mezzi meccanizzati. Bradley e Abrams americani, Leopard e Marder tedeschi, Challenger inglesi. Ma anche proiettili d’artiglieria, quei 155mm che avrebbero permesso alle forze ucraine di sfidare l’artiglieria di Mosca, l’arma regina dell’apparato militare russo. Ma le stime dimostravano come l’apparato industriale occidentale fosse in grado di fornire su base mensile solo un decimo della quantità di proiettili che Kyiv avrebbe impiegato sul campo di battaglia. Così per rimediare a questa carenza si è seguita una strada duplice. Da una parte ricorrendo ad un artifizio diplomatico per far arrivare in Ucraina i proiettili dalla Corea del Sud (la cui costituzione impedisce l’invio in zone di guerra) dall’altra si è attinto dalle riserve dell’esercito Usa, dopo un lungo dibattito causato dalla loro peculiarità di essere, anziché normali proiettili a frammentazione, delle cluster munitions.

Ma mentre i lavori di preparazione proseguivano, emergevano lentamente nuove problematiche. Dal rifiuto americano di fornire sistemi d’arma troppo complessi come gli ATACMS e i caccia F-16 (considerate le tempistiche necessarie per un uso efficiente), alla carenza di esperienza di combattimento per le reclute. Mentre al Pentagono la fiducia era alle stelle, negli ambienti dell’intelligence dominava un realismo dalle connotazioni pessimistiche. Intanto il tempo passava, con Kyiv che temporeggiava sperando di ricevere più materiale per l’offensiva, e con l’Occidente che premeva per attaccare prima che fosse troppo tardi. Nel frattempo, i russi non stavano a guardare, approntando un sistema difensivo complesso e multistrato, fatto di trincee oblique, tunnel, denti di drago, e campi minati. Nel solco della propria dottrina militare. Se pochi mesi prima le forze russe potevano sembrare prossime alla disfatta, adesso la situazione era cambiata.

Infine, a giugno iniziano le operazioni. E già dai primi scontri si capisce che la battaglia sarà molto più dura del previsto.


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