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Pechino fa flop sulla crescita. E paga dazio

L’agenzia di rating rivede l’outlook del Dragone, portandolo da stabile a negativo. Colpa delle troppe iniezioni di denaro per salvare un’industria moribonda, quella del mattone. Un’overdose di statalismo che ancora una volta si dimostra perdente

Piove sul bagnato. Perché per il presidente cinese Xi Jinping e i suoi tentativi di stimolo all’economia è arrivata l’ennesima cattiva notizia, che arriva in una fase economica tutt’altro che felice per il Dragone. Ma Moody’s ha abbassato l’outlook di Pechino da stabile a negativo, pur mantenendo il rating a lungo termine di A1 sui titoli sovrani cinesi. Un declassamento bello e buono, naturale conseguenza degli atavici problemi della Cina. Ma che sancisce anche il sostanziale fallimento delle politiche messe a terra dal partito.

Secondo l’agenzia di rating l’utilizzo da parte di Pechino di stimoli fiscali per sostenere i governi locali e le aziende statali sta comportando rischi al ribasso per l’economia della nazione. Come a dire, troppo Stato non paga. Il passaggio a una prospettiva negativa, per Moody’s, “riflette la crescente evidenza che il governo e il settore pubblico in generale forniranno sostegno finanziario ai governi regionali e locali e alle imprese statali in difficoltà finanziarie, ponendo ampi rischi al ribasso per la finanza pubblica cinese”.

L’agenzia di rating statunitense ha inoltre spiegato che il cambiamento delle prospettive riflette anche i maggiori rischi legati a una crescita economica a medio termine strutturalmente e persistentemente inferiore. Tradotto, a forza di mettere quattrini nelle banche e dei giganti del mattone in agonia, si rischia di far detonare i conti pubblici e rendere il debito, che già sconta una crisi di sfiducia con annessa fuga degli investitori, insostenibile.

Il riferimento è chiaramente al settore immobiliare, origine dei grandi mali cinesi. Moody’s prevede che il comparto del real estate rimarrà più debole in proporzione all’intera economia. Di conseguenza, i governi locali si troveranno ad affrontare una perdita strutturale delle entrate derivanti dalla vendita di terreni. Queste ultime, infatti, nel 2022 hanno rappresentato il 37% dei ricavi (esclusi i trasferimenti da parte del governo centrale).

E il domani? Se il metro di misura è il mattone, non c’è da sorridere. Gli acquirenti di case cinesi stanno evitando di prendere immobili in prevendita, temendo che i colossi con problemi finanziari non siano poi in grado di consegnare nonostante i pagamenti anticipati, come accaduto con Evergrande, il gigante immobiliare in grave difficoltà debitoria. La quota di proprietà acquisite in prevendita ha totalizzato l’82%, ma la cifra è la più bassa dal 2017. Una crisi di sfiducia. Ancora.

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