Secondo il leader pentastellato l’uscita dalla Belt and Road Initiative “è una decisione ideologica, che danneggia le imprese e riporta all’anno zero le relazioni commerciali con la Cina”. Immediata la replica di Meloni. Ecco cos’hanno detto gli altri partiti
“La decisione di uscire dalla Belt and Road Initiative spetta all’Italia”, ha risposto un portavoce del dipartimento di Stato americano alle agenzie di stampa. Il governo guidato da Giorgia Meloni ha fatto il grande passo dimostrando coerenza con gli impegni assunti, come rivendicato da Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della commissione Politiche dell’Unione europea e responsabile rapporti diplomatici di Fratelli d’Italia, parlando a Formiche.net. La mossa ha inevitabilmente suscitato anche la reazione della Cina che, per bocca del portavoce della diplomazia Wang Wenbin, ha dichiarato di “opporsi alla denigrazione e al sabotaggio dell’iniziativa, così come al confronto tra blocchi”. La cosiddetta Via della Seta “è un’iniziativa di successo e la più grande piattaforma al mondo di cooperazione tra Paesi”, ha aggiunto.
Gli sbuffi di Conte
Il più strenuo difensore dell’accordo e dunque il più veemente critico della decisione del governo Meloni è Giuseppe Conte, che nel 2019 da presidente del Consiglio firmò il memorandum. “Lo stop alla Via della Seta”, ha dichiarato il presidente del Movimento 5 Stelle al Corriere della Sera, “è una decisione ideologica, che danneggia le imprese e riporta all’anno zero le relazioni commerciali con la Cina”. La scelta di Meloni è “un autogol”, ha aggiunto. Per la Via della Seta, ha rivendicato, “avevamo lavorato a un’intesa programmatica che non interessava nessun asset e infrastruttura strategica del nostro Paese. Anzi avevamo contestualmente potenziato lo strumento della golden power per tutelare più efficacemente i nostri interessi nazionali”. A pagare lo scotto di questa decisione, ha concluso Conte, “saranno le imprese e le famiglie”.
La bilancia commerciale
Nelle scorse settimane Conte aveva spiegato che quell’accordo “doveva riequilibrare la nostra bilancia commerciale e ci è stato chiesto anche dal mondo delle imprese. Ovviamente poi è arrivata la pandemia e quando si valutano gli effetti di quell’accordo bisogna tenere conto che Cina e Italia sono stati i Paesi più colpiti”. Tuttavia, dal 2019 le esportazioni cinesi verso l’Italia sono aumentate sensibilmente spingendo il deficit commerciale a favore della Cina, passato da 383,7 miliardi di euro nel 2019 a 844,4 miliardi nel 2022, cioè è più che raddoppiato in tre anni. Le tendenze import-export dell’Italia verso la Cina “non sono state significativamente influenzate dalla Via della Seta ma piuttosto da fenomeni ciclici e strutturali nell’economia globale”, ha spiegato recentemente l’economista Lorenzo Codogno a Formiche.net, aggiungendo che per queste ragioni “non sarà affatto facile” riequilibrare la bilancia commerciale.
La replica di Meloni
“Conte ci dovrebbe spiegare perché noi siamo l’unica nazione ad aver aderito alla Via della Seta, ma non siamo la nazione che ha gli scambi maggiori con la Cina”, ha detto Meloni, parlando a margine della firma dell’accordo per lo sviluppo e la coesione tra il Governo e la Regione Lombardia, a Fiera Milano Rho. “Penso”, ha aggiunto, “che si debbano mantenere e migliorare rapporti economici e commerciali con la Cina, ma che lo strumento della Via della Seta non abbia dato i risultati che erano attesi”.
Quartapelle (Pd) e il passaggio parlamentare
“Aveva promesso un dibattito parlamentare, ma poi Meloni ha deciso (una cosa giusta) di nascosto. Forse per non dare fastidio a [Matteo] Salvini che nel 2019 era d’accordo? Peccato sprecare un’occasione per ragionare in trasparenza sulle priorità di politica estera”. La posizione è di Lia Quartapelle, deputata del Partito democratico e vicepresidente della commissione Esteri alla Camera. Il rilievo che muove all’esecutivo è più che altro di carattere metodologico. Peraltro, secondo alcuni il passaggio parlamentare non solo non era richiesto trattandosi i un memorandum tra governi, ma avrebbe potuto essere addirittura rischioso alimentando inutili tensioni tra Roma e Pechino.
Le parole degli “Amici della Cina”
Vinicio Peluffo, deputato del Partito democratico e presidente dell’associazione parlamentare Amici della Cina, ha sottolineato che si tratta di “una decisione del governo che aveva già significato tutti i suoi dubbi rispetto all’efficacia, in termini di risultati economici, durante la visita del ministro [degli Esteri, Antonio] Tajani in Cina lo scorso settembre”. Dal punto di vista parlamentare prosegue “l’interscambio culturale” con occasioni “di rilancio di rapporti bilaterali” anche con appuntamenti “culturali importanti, come il prossimo anno per il 700º anniversario della morte di Marco Polo”, ha aggiunto. “L’associazione”, prosegue, “è stata fondata negli anni settanta da Vittorino Colombo che conosceva personalmente la leadership cinese e ha sempre promosso il dialogo e la reciproca conoscenza tra sistemi politici diversi”.
Il pressing del Dragone
L’uscita dalla Via della Seta ha provocato tra i parlamentari iscritti all’associazione “Amici della Cina” è particolarmente elettrica. I cellulari di alcuni dei deputati e senatori iscritti all’associazione, sarebbero stati inondati di messaggi provenienti da imprenditori, politici e feluche del Dragone, che non avrebbero nascosto il loro malumore per la scelta italiana di dire addio all’iniziativa strategica messa in campo dalla Repubblica popolare con l’obiettivo di intensificare i suoi collegamenti commerciali con i Paesi dell’Eurasia. Malumori arrivano anche dalla deputata di Italia Viva, Naike Gruppioni. “Chiederemo di portare in Aula questa decisione perché crediamo sia nell’interesse di tutti valutare insieme, in modo trasversale, questo atteggiamento di chiusura da parte del governo, che non ha tenuto conto di chi lavora e ha investito nei rapporti finanziari e commerciali con Pechino. Un Paese col quale abbiamo costruito in questi anni un rapporto profondo”, ha dichiarato.
Danti (Iv) dall’Europa
“Finalmente, il governo Meloni ha abbandonato la partecipazione alla Belt and Road initiative”, ha scritto sui social Nicola Danti, l’eurodeputato di Italia viva e vicepresidente di Renew Europe. “Conte, a suo tempo, ipotizzava accordi fino a 20 miliardi di euro, peraltro in un contesto completamente sbilanciato a favore della Cina, naturalmente, di questi soldi non se ne è vista nemmeno l’ombra. Insomma, un altro ‘capolavoro’ della nefasta stagione dell’avvocato del popolo a Palazzo Chigi, degnamente aiutato da Matteo Salvini e dall’indimenticabile sottosegretario dell’epoca Michele Geraci”, ha aggiunto.
I plausi dalla maggioranza
Con l’uscita dalla Via della Seta, “l’Italia riconferma il proprio collocamento geopolitico che sta saldamente con l’Occidente e all’interno del sistema delle alleanze tradizionali”, ha commentato Marco Dreosto, senatore della Lega. “La Cina rimane un partner commerciale ma allo stesso tempo era necessario respingere al mittente le mire geopolitiche di Pechino nei confronti del nostro Paese”, ha aggiunto. “In un contesto internazionale profondamente mutato in seguito all’aggressione russa in Ucraina”, ha proseguito il leghista, “si può osservare come vi sia un allineamento tra potenze autocratiche – Russia, Cina e Iran – che sfidano l’Occidente. Va bene commerciare con tutti, ma accordi strategici devono essere presi solo con i nostri alleati ed era necessario ribadire l’importanza della salvaguardia dei nostri asset nazionali che non potevano cadere in mano a uno Stato competitor”, ha concluso.
Dello stesso avviso è anche Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Camera. La decisione del governo “è un’ottima notizia per diversi motivi. Innanzitutto, questa scelta è volta a preservare l’economia italiana, i mercati nazionali e continentali, le nostre infrastrutture strategiche, il patrimonio manifatturiero e artigianale da troppo tempo cannibalizzato dalla potenza asiatica a causa del mai affrontato problema della concorrenza sleale. È stato il virus del globalismo a mettere in ginocchio la nostra capacità produttiva”. Rampelli si dice certo che “la decisione di uscire dalla nuova via della Seta avrà un impatto positivo sull’economia italiana, consentendo di migliorare le politiche commerciali. Ormai è chiaro a tutti che la nuova via della Seta è utile solo alla Cina nelle sue mire espansionistiche e predatorie”, ha concluso.