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La Corea del Sud punta alle batterie. Massicci sussidi in vista

Il governo di Seul ha varato un ingente pacchetto di sussidi per supportare l’industria nazionale delle batterie al litio. L’obiettivo: rafforzarne la competitività e la presenza all’estero, soprattutto per ridurre la dipendenza dai materiali cinesi. E così beneficiare dell’Inflation reduction act (Ira)…

Le nuove clausole varate dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per accedere ai copiosi incentivi dell’Inflation Reduction Act hanno già sortito un effetto desiderato. Come quello della Corea del Sud che, tramite il ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Energia (Motie) Bang Moon Kyu, ha confermato che l’Ira rappresenterà un volano per l’industria delle batterie elettriche nazionale. A patto di rispettarne le clausole.

Gli Stati Uniti sono già il secondo partner commerciale della Corea: si piazzano dietro soltanto alla Repubblica Popolare Cinese con circa $155 miliardi di esportazioni, mentre gli Usa sono stati la destinazione di quasi $110 miliardi nel 2022, con una bilancia commerciale all’attivo e valori ad ottobre 2023 in linea con l’anno precedente secondo i dati della Korea International Trade Association (Kita).

In questo contesto, l’Ira ha innescato un circolo virtuoso per gli investimenti coreani, specialmente dei suoi leader industriali nel settore delle batterie al litio. LG Energy Solution, Samsung SDI e SK Innovation (che detengono circa il 25% del mercato delle batterie, dietro a Catl e BYD) sono partner fondamentali per i grandi colossi dell’auto nordamericani, come General Motors, Ford e la stessa Tesla che non vogliono perdere (con l’eccezione di quest’ultima, leader del mercato EV insieme alla cinese BYD) il treno dell’elettrificazione e, dunque, gli incentivi del pacchetto legislativo.

Per farlo, i produttori coreani dovranno rispettare le nuove clausole dell’Ira che vietano ai potenziali partner e fornitori degli OEMs statunitensi di poter accedere ai sussidi qualora rientrino nella definizione di foreign entity of concern (Feoc), ovvero che siano sotto l’influenza di entità a guida statale cinesi o che li annoverino tra gli investitori per più del 25% delle quote azionarie. Una classificazione che viene applicata lungo tutta la supply chain delle batterie, dalla produzione di celle a quella di catodi e anodi, passando per i materiali precursori (come l’idrossido di litio o la grafite sintetica), e che escluderà dal nascente ecosistema industriale americano attori consolidati come Catl, Ganfeng Lithium, Huayou Cobalt, Shanshan e molti altri. Per dare un’idea, Corea e Giappone sono state le due destinazioni principali per l’esportazione di litio della Cina nel 2022, contando per il 98% del totale.

Ma proprio perché il network di produzione delle batterie al litio è nato e si è consolidato nell’ultimo ventennio tra Cina, Corea e Giappone, gran parte di quell’ecosistema vede forti interdipendenze tra le aziende chimiche e manifatturiere di quella regione. Un aspetto che aveva fatto scattare l’allarme a Washington, dal momento che pur di non perdere l’opportunità dei fondi dell’IRA molti fornitori cinesi avevano annusato l’opportunità di investire in paesi, come la Corea (con cui gli Usa hanno in essere un accordo di libero scambio o FTA) per bypassare le (allora) clausole poco chiare.

Ed è da questo possibile limite che il governo di Seoul ha intravisto una doppia opportunità: considerando la forte dipendenza dei suoi giganti delle batterie dai fornitori cinesi e le prospettive di investimenti negli Usa, una maggiore presenza nei mercati esteri nei segmenti up-midstream della supply chain sarebbe come prendere due piccioni con una fava. Da una parte, diversificare gli approvvigionamenti in paesi ricchi di materie prime, dall’altra rispettare le clausole anti-Cina dell’Ira, le quali “hanno tolto le incertezze sull’idoneità degli incentivi fiscali e sul loro ambito di applicazione in settori high-tech negli Stati Uniti” ha chiosato il ministro coreano Kyu. Un risultato ottenuto anche grazie al coordinamento tra Washington e Seoul, che rimane un alleato fondamentale nella regione su vari fronti e ambiti, come quello dei semiconduttori.

L’incentivo previsto dall’Ira, nella Sezione 45X “Advanced Manufacturing Production Credit, sarà disponibile fino al 2032 e consiste in $35 per 1 kWh di celle per batterie prodotte e $10 per 1 kWh di moduli assemblati. Le aziende coreane potranno beneficiarne, dal momento che stanno operando o costruendo impianti di produzione negli Stati Uniti. A patto di diversificare i loro approvvigionamenti come previsto dalle clausole Feoc.

Per farlo, il ministero della Strategia e Finanza ha annunciato un piano strutturato in questa direzione: il governo coreano stanzierà circa 38 milioni di won ($29 miliardi) in cinque anni per rafforzare l’industria nazionale delle batterie in un contesto globale sempre più competitivo. Tra gli strumenti previsti, ci saranno incentivi fiscali e supporto finanziario per investire all’estero in progetti estrattivi (3% circa dell’ammontare delle acquisizioni) e ridurre i rischi per quelle aziende che operano nel segmento della raffinazione e riutilizzo dei minerali, come Posco o LG Chem. L’Export-Import Bank della Corea fornirà, inoltre, prestiti agevolati alle aziende che operano nell’industria delle batterie. E’ previsto inoltre un fondo da 1 trilione di won (circa $770 milioni) per le industrie high-tech e 117 miliardi di won ($90 milioni circa) a supporto di R&D nella nuova generazione di batterie.

Un settore strategico per la Corea, soprattutto se confrontato con i numeri che l’automotive ha registrato tra gennaio e novembre di quest’anno. Secondo i dati diffusi dal Motie, il valore delle esportazioni automobilistiche ha raggiunto la cifra record di 64,5 miliardi di dollari e si prevede che il valore annuale delle esportazioni automobilistiche per il 2023 supererà i 70 miliardi di dollari per la prima volta nella storia del paese. In particolare, le esportazioni di veicoli a basse o nulle emissioni (Ev, Fcev, Phev) verso gli Stati Uniti nel mese di novembre hanno raggiunto circa 17.000 unità, vendendo 134.000 unità nel periodo gennaio-novembre e superando di gran lunga le 84.000 unità dello scorso anno. Un risultato in parte spiegabile dall’Ira.

Nella prospettiva della transizione all’elettrico, la posizione della Corea è di indubbio vantaggio. Le misure annunciate per l’industria delle batterie sono un chiaro segnale che Seoul punta a diventare un paese ancor più competitivo nel lungo termine, con la sfida lanciata alla Cina da LG e Samsung. La relazione forte con Washington rappresenta un chiaro stimolo in questa direzione. Sono infatti ben sette i siti in espansione o in costruzione negli USA dal gruppo LG, in joint venture con partner come General Motors, Stellantis e Honda per circa 265 GWh di capacità attuale. Per Samsung due gigafactory in Indiana mentre SK ha quasi ultimato tre siti in Georgia in partnership con Ford e Volkswagen.

Escludendo la Cina, l’Europa rimane la seconda regione di destinazione degli investimenti delle industrie coreane, con l’Ungheria al primo posto seguita dalla Polonia con circa 160 GWh di capacità installata. Una maggiore collaborazione, anche in un’ottica di regionalizzazione della filiera, tra Ue e Corea potrebbe rappresentare un utile strumento per allentare la dipendenza dalla Cina e sfidare i colossi Ev cinesi anche sul piano dei costi. In questa direzione, l’approvazione dell’European Critical Raw Materials Act è un primo passo ma sconta ancora, rispetto all’Ira e ai sussidi coreani, un’evidente debolezza sul piano dei fondi comunitari che potranno essere mobilitati a supporto di tutta la supply chain.

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