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Così Washington pensa alla nuova geopolitica. Cosa sono Pac e Imec

Imec e Pac delineano le priorità americane. Creare comunità di destini condivisi attorno a una politica economica globale. È la grande sfida di Washington, spiega Soliman (Mei) per andare oltre la Guerra Fredda mentre si costruisce il de-risking dalla Cina

Non solo Imec, ma anche Pac. Le due sigle indicano due dei grandi sistemi di interconnessione su cui gli Stati Uniti stanno lavorando in questo momento. Il primo è il Corridoio India-Medio Oriente-Europa annunciato a latere del G20 di New Delhi. Per ragionare sul suo valore basta accedere all’attualità: con gli Houthi che dallo Yemen hanno iniziato a destabilizzare il Mar Rosso, dichiarando obiettivo legittimo qualsiasi nave commerciale o militare riconducibile in qualche modo a Israele, diventa ancora più determinante la rotta di terra che dovrebbe evitare Hormuz, Bab el Mandeb e Suez, per collegare il Subcontinente all’Europa attraverso i porti emiratini e le ferrovie saudite. La guerra israeliana a Gaza ha messo in crisi questa fase del progetto, perché lo sbocco di collegamento per l’Europa sarebbero i porti israeliani (Haifa su tutti), ma da conversazioni avute con diversi funzionari mediorientali, europei, indiani appare piuttosto chiaro che il valore strategico percepito bypasserà — in futuro, quando i tempi lo concederanno — il conflitto. “Imec is here to stay”, ha per esempio detto di recente un funzionario emiratino durante una tavola rotonda svoltasi sotto regole Chatham House.

Se il valore strategico del corridoio ruota tanto attorno alla costruzione di un sistema di connettività fisico quanto nel concettualizzare l’Indo Mediterraneo (secondo il costrutto indo-abramitico, che mette insieme popoli, politiche e destini indiani e islamici, ebraici e cristiani), il Pac si basa su una dimensione già più solida. La Partnership for Atlantic Cooperation (Pac) lanciata durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite, che si è svolta sempre a settembre, mira a creare un nuovo ambiente di comunione tra gli Stati costieri dell’Oceano Atlantico mettendo insieme Europa, Africa e Americhe. Dal Canada e dall’Argentina all’Uruguay e al Brasile, dal Marocco e dalla Nigeria al Regno Unito e all’Islanda, sono 32 i Paesi che hanno approvato la dichiarazione sulla cooperazione atlantica pensata dalla Casa Bianca per lanciare ufficialmente il partenariato della comunità atlantica.

Gli Stati Uniti quando pensano a certi progetti hanno anche in mente un obiettivo chiaro: il de-coupling dalla Cina, processo già in corso ma di più lunga gittata strategica (per complicazioni legate alle interdipendenze esistenti), o in termini più rapidi il più praticabile de-resking. Tenendo conto del contesto multi allineato che sta caratterizzando le relazioni internazionali, la creazione di questi grandi gruppi di connessioni significa riconoscere il valore di soggetti finora considerati marginali, elevarli a interlocutori attivi nelle dinamiche dei propri contesti geostrategici e in definitiva riconoscere che in questa fase storica molti Paesi finora considerati entità separate hanno diritto (e necessità) di essere per quanto possibile protagonisti del loro futuro. Tutto con la consapevolezza che nessuna nazione da sola può affrontare sfide come i cambiamenti climatici, le alterazioni delle catene di approvvigionamento, la protezione delle connessioni sottomarine, le attività illegali e le azioni securitarie.

In un’analisi pubblicata in questi giorni sul Substack “The Liberal Patriot”, Mohammed Soliman — teorizzatore del costrutto indo-abramitico e  attualmente direttore del programma Strategic Technologies and Cyber Security presso il Middle East Institute — ha evidenziato cinque elementi cruciali alla base di questo riconoscimento dell’immenso valore strategico dell’Atlantico che viene fatto con il Pac. Val la pena portarli all’attenzione del pubblico italiano così come messi da Soliman.

Primo, riflette un impegno per un approccio transoceanico e transcontinentale alla geopolitica e all’economia, soprattutto di fronte alla crescente concorrenza con la Cina. Secondo, i grandi progetti della partnership atlantica e dell’Imec rafforzano l’attuale (ma in declino) dominio marittimo di Washington intorno ai bordi eurasiatici e atlantici. Terzo, Mentre l’Imec dimostra un riconoscimento di fatto da parte di Washington dello spostamento di potere da ovest a est, l’iniziativa atlantica rappresenta una comprensione parallela dell’ascesa degli stati dell’Atlantico meridionale come Brasile, Nigeria e Marocco. Quarto, il simbolismo dell’annuncio del patto a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite va visto come un tentativo di riformare il sistema internazionale attraverso la costruzione di nuovi formati “minilaterali” che diano maggiori poteri e ruoli di leadership al cosiddetto Sud globale senza minare le istituzioni internazionali esistenti come le Nazioni Unite. Quinto, il Pac e l’Imec si uniranno a una lista crescente di formati multilaterali e minilaterali come il Quad, l’I2U2 e l’Aukus che Washington ha formato o incoraggiato per mantenere una posizione di leadership nella politica globale.

Ciò detto, appare evidente che gli Stati Uniti si stiano rimodellando strategicamente in un contesto di crescente competizione con la Cina e la Russia, dove diversi Paesi scelgono di essere non allineati. Iniziative come il Partenariato atlantico significano però uno spostamento di attenzione rispetto alle strategie dell’era della Guerra Fredda. “L’amministrazione Biden merita credito per aver pensato al di fuori della cassetta degli attrezzi di stato del dopoguerra fredda quando si tratta di politica economica internazionale”, dice Soliman. Il progetto più ampio teorizzato dalla presidenza di Joe Biden, definito dal dipartimento di Stato “una politica estera per la classe media”, mira proprio ad affrontare i difetti del sistema economico internazionale post-Guerra Fredda — tema, “la mentalità da Guerra Fredda”, usato spesso dalla narrazione del Partito/Stato cinese per attaccare gli Stati Uniti e solleticare le istanze di quei Paesi che non intendono allinearsi.

Con Pac e Imec, o con l’Ipef (Indo-Pacific Economic Framework), gli Stati Uniti manifestano tutti gli sforzi dell’attuale amministrazione per ripensare la visione prevalente — il cosiddetto “Washington Consensus” — che ha plasmato l’economia globale dalla fine della Guerra Fredda. Come spiega Soliman, è “uno spostamento visibile: dalla concessione alle nazioni straniere dell’accesso al mercato in cambio del loro allineamento geopolitico, si passa al concentrarsi sulla politica industriale, sul de-risking con la Cina, sull’antitrust e sulla creazione di blocchi economici”. La sfida è far diventare le varie iniziative parte di una politica economica globale.

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