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Cosa sappiamo di Prosperity Guardian, la missione per la sicurezza del Mar Rosso

Nei prossimi giorni gli Usa potrebbero avviare una nuova operazione per la sicurezza marittima del Mar Rosso, destabilizzato dagli attacchi degli Houthi contro le navi commerciali che seguono quelle rotte di connessione Europa-Asia. Ecco cosa si sa e qualche ricostruzione

Secondo le informazioni esclusive ottenute dal sito tecnico The Drive, nei prossimi giorni gli Stati Uniti dovrebbero avviare le operazioni della task force speciale che si occuperà della “Operation Prosperity Guardian”, l’attività di sicurezza marittima che Washington ha pensato per mettere al sicuro le cruciali rotte Europa-Asia nel Mar Rosso, finite al centro degli interessi che gli Houthi yemeniti proiettano sulla guerra israeliana a Gaza. Per ora, i compiti e le regole di ingaggio non sono chiare, spiega una fonte militare dal Golfo, ma è molto probabile che l’attività verrà lanciata mentre il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il capo degli Stati maggiori congiunti del Pentagono, il generale CQ Brown, si trovano in visita nella regione.

La leadership americana è da oggi, e per i prossimi due giorni, in Israele dove avrà intensi colloqui con le controparti; perché gli Usa intendono capire per quanto ancora durerà la parte più violenta dell’invasione; perché vogliono andare avanti sulla questione degli ostaggi; perché devono valutare come gestire i fronti (da quello ancora caldissimo libanese, a quello siriano e iracheno, al Mar Rosso appunto), dove l’Asse della Resistenza guidato dai Pasdaran procede con attività militari a medio-bassa intensità che stanno risultando sempre più problematiche.

Il chokepoint di Bab el Mandeb, tra Corno d’Africa e Yemen, è la priorità attuale e il maggiore dei problemi se si considera il suo riflesso attuale; per di più in questo momento, dove i traffici commerciali si sommano all’aumento dei consumi in Europa durante le feste natalizie.

Austin e Brown andranno anche alla Al Udeid Air Base di Doha, sede del Central Command americano, e alla Naval Support Activity di Muharraq Island (Bahrein), sede della Quinta Flotta collegata al CentCom. Saranno questi i centri di controllo di Prosperity Guardian, che parte già ben corazzata. Nell’area di responsabilità di CentCom si muovono in queste momento le portaerei Gerald Ford (che è nel Mediterraneo orientale) e Dwight Eisenhower (che è scesa dal Persico al Mar Arabico e punta Aden). Con loro i rispettivi gruppi da battaglia e le navi della Combined Task Force 153 che, da quando è stata strutturata nell’aprile del 2022, come compito ha il mantenimento della sicurezza marittima tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden (dove gli Houthi avevano già creato destabilizzazione in passato).

Eppure nei fatti non è stato un deterrente. Ciò nonostante, la Task Force 153 (CTF 153), una delle cinque operazioni multinazionali che compongono le Combined Maritime Forces (Cmf), potrebbe essere un modello operativo perché composta da 39 Paesi — tra essi c’è anche l’Italia, che nei prossimi giorni annuncerà la sua decisione ufficiale riguarda a Prosperity Guardian.

L’aspetto importante è il coinvolgimento ampio, perché la CTF 153 comprende tra gli altri Bahrain, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Uniti, Oman, Qatar, Kuwait, Giordania, Iraq, Gibuti, ma anche Brasile, Canada, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Thailandia e India. Il messaggio che gli americani vogliono dare è che la questione è globale. L’obiettivo è evitare che un coinvolgimento statunitense troppo marcato possa essere usato dai rivali — Cina, Russia, Iran — per spingere la narrazione anti-occidentale. Raccontata come un’ingerenza più che come un deterrente risolutivo, l’operazione Prosperity Guardian potrebbe finire tra le percezioni negative — con Pechino, Mosca e Teheran che stressano la propaganda per incolpare Usa e Occidente in generale dell’intera crisi.

Per questo, l’inserimento di diversi Paesi parte del cosiddetto Global South, non solo quelli regionali, e la presenza dell’India (che di quella parte di mondo è un riferimento) sarebbe importante. Addirittura, secondo una fonte militare regionale ci sarebbero stati timidi contatti anche con la Cina, per portare la questione tra le responsabilità da potenza che Pechino dovrebbe prendersi. Al di là che non è possibile confermare tale informazione, l’aspetto interessante è che se ne parli — sebbene con la consapevolezza che difficilmente i cinesi accetteranno un certo genere di cooperazione, sebbene avrebbero tutti gli interessi di proteggere quelle rotte che portano i loro prodotti in Europa.

Il problema riguarda anche il come: finora i cacciatorpediniere americani Carney e Mason, aiutati in un paio di occasione dal britannico Diamond e dal francese Languedoc, hanno lavorato in forma difensiva. Ossia hanno protetto alcune navi dai droni (lanciati a sciami dagli Houthi in modo del tutto simile a quello in cui i russi lanciano mezzi simili iraniani sulle città ucraine) e dai missili da crociera partiti dallo Yemen.

Una fonte si chiede se non sia anche “il caso di effettuare qualche intervento cinetico contro Ansarallah (così si fa chiamare la componente militare degli Houthi, ndr) ma questo cosa potrebbe significare? Il ragionamento riguarda sia al chi accetterebbe di partecipare a una task force con certe regole di ingaggio sia sui rischi per gli equilibri con lo Yemen e soprattutto con l’Iran. Politico, che ha avuto informazioni sulla possibilità che si passi a una fase operativa offensiva contro gli Houthi, ha scritto che finora l’amministrazione Biden è stata riluttante nel rispondere militarmente agli attacchi Houthi contro i cargo nel Mar Rosso sia per paura di provocare l’Iran, sia di non aumentare il caos regionale e interno allo Yemen. Ma la situazione è in escalation (incontrollata?).

Nell’affrontare la questione della sicurezza marittima nella regione, è essenziale coinvolgere attivamente gli attori regionali, compresi l’Iran, spiega un’altra fonte parlando sempre in forma riservata (condizione richiesta da tutti visto le sensibilità del momento e la non autorizzazione a dichiarazioni pubbliche). “Va notato che il supporto dell’Iran agli Houthi non implica necessariamente un controllo diretto da parte di Teheran sugli attacchi, ma piuttosto una complessa dinamica. L’Iran, pur sostenendo gli Houthi, cerca di evitare che la situazione si intensifichi, specialmente considerando la normalizzazione dei rapporti con Riad, che non vogliono compromettere”.

Questa prospettiva è evidenziata dai segnali che Teheran ha lanciato. Ma considerato il contesto, com’è integrare certi attori, già sotto stress per il procedere della guerra a Gaza?



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