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La lunga notte di Gazprom. Così il gigante russo è crollato sotto le sanzioni

Il gigante del gas, simbolo indiscusso della potenza energetica russa, ha pubblicato in queste settimane solo una piccola parte del proprio bilancio, che parla apertamente di margini quasi dimezzati. E tanto basta per capire come le misure imposte dall’Occidente contro Mosca abbiano prodotto i loro effetti

Gazprom è insieme simbolo e motore dell’economia della Russia, nata proprio nei mesi (1989) dell’agonia dell’allora Urss. Fino al febbraio del 2022, quando Mosca mosse guerra contro l’Ucraina, Gazprom era tra i principali fornitori di gas dell’Europa e della stessa Russia, grazie alla sua mastodontica rete di gasdotti e terminali. Storia, perché ora il vento è cambiato. Le sanzioni contro la Federazione hanno prodotto il loro effetto, così come l’embargo sul petrolio imposto dall’Europa. E la stessa finanza russa è stata spolpata dalla fuga delle grandi istituzioni finanziarie occidentali.

E Gazprom non è certo immune da tutto questo. La prova? Nei numeri, come sempre. Il colosso russo del gas naturale, ha fatto sapere che l’Ebitda 2023 scenderà del 40% circa a circa 2.200 miliardi di rubli (circa 24,3 miliardi di dollari), contro i 3.600 miliardi del 2022. L’Ebitda è una voce fondamentale in ogni bilancio, perché dà la cifra sulla redditività di un’azienda. E la capacità di generare margini, Gazprom pare proprio averla persa. Di più. La società ha chiuso il primo semestre del 2023 con un utile netto pari a 296,2 miliardi di rubli (circa 2,86 miliardi di euro), in netto calo rispetto ai 2,5 trilioni di rubli dello stesso periodo dello scorso anno.

E questa potrebbe essere solo una piccola dose della verità. Sì, perché come altre aziende russe, Gazprom non pubblica risultati completi dall’inizio del conflitto in Ucraina, a cui i Paesi occidentali avevano risposto con sanzioni senza precedenti. Le esportazioni di gas del gigante russo, una delle principali fonti di reddito, non sono state direttamente sanzionate, ma i suoi volumi di esportazione si sono quasi dimezzati l’anno scorso, scendendo a 101 miliardi di metri cubi, mentre le vendite all’Europa, in precedenza il suo principale mercato, si sono ridotte proprio per effetto dell’embargo.

La crisi di Gazprom affonda le sue radici dal generale ripiegamento delle esportazioni russe di metano. Secondo un rapporto del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea), la Russia ha perso 34 miliardi di euro in proventi dalle esportazioni di gas e petrolio dopo che i Paesi occidentali hanno introdotto un tetto massimo sui prezzi del greggio russo e l’entrata in vigore del divieto di importazione via mare nei paesi dell’Unione europea. Una cifra immensa, paragonabile alla spesa di tutto il bilancio russo per la sicurezza prevista per il 2024, che ammonta a 3,4 trilioni di rubli (ossia un terzo di tutte le spese previste per la difesa, che sono 10,4 trilioni di rubli, cioè 105,5 miliardi di euro).

Sopravviverà Gazprom? Forse sì o forse no. Di sicuro, al Cremlino che è l’azionista di controllo, non hanno intenzione di gettare la spugna. Il board di Gazprom ha infatti approvato un programma di investimenti per il 2024 del valore di 1.570 miliardi di rubli (circa 17,3 miliardi di dollari), in linea con quanto ipotizzato lo scorso novembre. Il gruppo dell’energia si è anche detto convinto che i combustibili fossili resteranno alla base del mix energetico globale nel lungo termine. Questo anche se quasi 200 Paesi, tra cui la Russia, hanno concordato al vertice sul clima Cop28 di iniziare a ridurre il consumo globale di combustibili fossili. Un’illusione russa?

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