L’amministrazione Biden ha aggiornato, tramite il Tesoro, le clausole per accedere agli incentivi fiscali dell’Inflation Reduction Act: niente sussidi per le aziende negli Stati Uniti che utilizzano componenti o materiali attraverso fornitori o controllate di entità cinesi (foreign entity of concern). Una mossa verso il de-risking…
Mentre si svolgono le intense giornate della Cop28 a Dubai, con l’obiettivo di portare avanti la diplomazia climatica per raggiungere gli obiettivi fissati con gli Accordi di Parigi, gli Stati Uniti continuano a vedere la transizione energetica non solo come opportunità di crescita e sviluppo, ma anche attraverso la lente della competizione geopolitica.
Una convinzione maturata dal quadro che vede la Repubblica Popolare Cinese controllare gran parte della supply chain delle batterie agli ioni di litio, dalle miniere fino alle componenti più sofisticate, una tecnologia centrale per la decarbonizzazione dei trasporti e l’accumulo stazionario di energia.
Dal passaggio dell’Inflation Reduction Act (Ira) nell’agosto del 2022, la misura legislativa pro-clima e parte della più ampia strategia industriale dell’amministrazione Biden di rafforzare la posizione del paese in questa industria emergente, negli Stati Uniti sono stati annunciati quasi 80 nuovi progetti legati alla filiera delle batterie elettriche, con circa 80 miliardi di investimenti privati. Ma non si tratta solo di un copioso ricorso agli investimenti pubblici: l’Ira è un disegno di legge complesso, costruito dopo un’attenta analisi della supply chain per comprendere le vulnerabilità americane, soprattutto per quanto concerne le forniture di materie prime critiche come litio, nichel e grafite e materiali essenziali per la manifattura delle componenti delle batterie, attualmente dominate dalle aziende cinesi, coreane e giapponesi.
Proprio per cercare di disarticolare questa geografia industriale, costruita intorno ai network di produzione che gravitano intorno alla Cina – che ricordiamo essere il principale mercato EV al mondo – puntando a stimolare la domanda statunitense l’amministrazione Biden ha concepito una serie di clausole, senza mai citare direttamente la Cina nel provvedimento. Verso la fine di dicembre del 2022, il ministero del Tesoro americano aveva rilasciato un importante white paper sulla possibilità di espandere gli incentivi fiscali previsti dall’Ira – il provvedimento, convertito in legge dal presidente Joe Biden ormai un anno fa, prevede che i veicoli elettrici e plug-in ibridi venduti negli Stati Uniti debbano soddisfare i requisiti sui materiali critici (litio, nichel, cobalto ecc.) estratti o processati sul suolo nazionale o in paesi con cui gli Usa hanno in essere un trattato di libero commercio (Fta) per poter accedere al credito fiscale di 3.750 dollari – anche a paesi con cui gli Stati Uniti non avessero un Fta, come per esempio l’Unione Europea.
Lo standard sui materiali critici processati a livello domestico è stato infine rilassato, con il 50% del credito fiscale previsto per l’acquisto di auto (7.500 dollari) accessibile se i fornitori abbiano processato il 40% del valore aggiunto dei materiali seppur da paesi non-Fta. Ovviamente, materie prime e materiali di provenienza cinesi non possono qualificarsi direttamente, proprio per l’obiettivo di limitare le forniture cinesi e al contempo incentivare una supply chain alternativa. Tuttavia, era noto a molti analisti che queste clausole avrebbero infine dovuto scontrarsi con la realtà dei fatti: come anticipato, molti dei grandi gruppi industriali coreani e giapponesi, come LG Energy Solution, Samsung SDI e Panasonic hanno sviluppato una forte interdipendenza con i fornitori di materiali cinesi, soprattutto per i prodotti lavorati del litio e della grafite (rispettivamente utilizzati nei catodi e negli anodi delle batterie).
Dal momento che l’esistenza di un Fta tra Corea e USA qualifica le aziende coreane che producono batterie e componenti per poter beneficiare dei sussidi americani e così investire sul suolo americano, questa integrazione commerciale più profonda con la Cina ha portato, dunque, a rivedere un ulteriore clausola che era già stata introdotta nella misura legislativa. Si tratta di uno strumento che, a differenza di quello concepito per i semiconduttori avanzati in cui è centrale la tecnologia americana, cerca di limitare il predominio di quella cinese sulle batterie.
Il Dipartimento del Tesoro e l’Internal Revenue Service (Irs) statunitensi hanno pubblicato una proposta di guida per le disposizioni sul credito d’imposta per i veicoli elettrici contenute nell’Ira. Questa guida fornisce una maggiore chiarezza sulle norme relative alle cosiddette foreign entity of concern (Feoc) previste dalla legge. Divisi in due parti, i requisiti Feoc prevedono che, per ricevere ciascuna metà del credito di 7.500 dollari, qualsiasi veicolo messo in servizio nel 2024 non possa contenere componenti di batteria fabbricati o assemblati da un Feoc e, a partire dal 2025, non possa contenere minerali critici estratti, lavorati o riciclati da un Feoc.
Requisito per accedere al credito per EV | 2024
(per ricevere $7,500) |
2025
(per ricevere $7,500) |
Foreign Entity of Concern (componenti per batterie) | SI | SI |
Foreign Entity of Concern (minerali critici) | NO | SI |
Percentuale delle componenti | 60% | 60% |
Percentuale per i minerali critici | 50% | 60% |
Tabella 1 | Riassunto dei requisiti per accedere ai crediti fiscali per i veicoli elettrici previsti dall’Inflation Reduction Act. Fonte: Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti
Ma quale sarebbe la definizione giuridica di Feoc? Il documento fornisce un’interpretazione, la cui parte fondamentale recita come segue: “Il termine entità straniera di interesse indica un’entità straniera di proprietà, controllata o soggetta alla giurisdizione o alla direzione di un governo di un Paese straniero che è una nazione coperta”.
Le covered nations per gli Usa sono quattro: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Il documento ha stabilito che il limite per stabilire se l’entità abbia, o meno, la proprietà o il controllo dell’asset industriale (materia prima, materiale o componente) sia il 25%, o più, dei posti nel consiglio di amministrazione, dei diritti di voto o delle partecipazioni azionarie dell’entità cumulativamente detenuti da qualsiasi entità classificata come Feoc. Anche un’entità costituita, o con sede (Hq) in una nazione coperta verrebbe classificata come Feoc. Inoltre, viene stabilito che anche un accordo di licenza o altri accordi contrattuali (come accordi di fornitura sui materiali critici) possono essere assimilati a forme di controllo. Ciò significa che questi accordi siglati negli Stati Uniti o altrove impedirebbero ai veicoli che utilizzano tali componenti o celle di beneficiare del credito per i veicoli elettrici previsto dall’Ira. Viene infine proposto un certo margine di discrezione per i “materiali per batterie non rintracciabili”.
Le nuove clausole vengono annunciate in un contesto di mercato in fase di raffreddamento. In Cina, i prezzi del litio sono scesi di oltre il 70% quest’anno, con i prezzi dell’idrossido di litio (principali sotto-prodotto chimico utilizzato per le batterie) sono scesi a una media di 17.350 dollari a tonnellata nell’ultima valutazione di Benchmark Minerals Intelligence. L’offerta consistente e la debolezza della domanda EV sono i fattori che hanno contribuito a questo trend ribassista e che sembra favorire i produttori di batterie e auto cinesi che si prestano ad aggredire ulteriormente i mercati internazionali a discapito dei rivali.
In generale, quello che emerge dal documento è la forte volontà politica di settare limiti ancor più stringenti per il coinvolgimento di aziende cinesi nella nascente supply chain per le batterie elettriche negli Stati Uniti. Una mossa che potrebbe compromettere l’accesso non solo ai minerali critici processati dalla Cina, ma anche ad una serie di tecnologie di matrice cinese come le batterie al litio ferro fosfato (LFP) dal momento che anche gli accordi commerciali (come quello tra Ford e Catl: ora l’ipotesi della gigafactory in Michigan potrà vacillare) saranno oggetto di attento scrutinio.
Sostanzialmente, i grandi colossi dell’auto nord-americani come appunto Ford, General Motors e la stessa Tesla – su cui saranno accesi i riflettori, considerando la sua fortissima simbiosi con i fornitori e i grandi colossi delle batterie cinesi come Catl – che vorranno accedere a tutto il credito fiscale dell’Ira ($7,500) dovranno presto assicurare che le batterie installate sui loro veicoli non contengano minerali o componenti forniti da un’azienda che sia controllata almeno da un’entità cinese per il 25%. Inoltre, sarebbero esclusi dagli incentivi tutti gli EV non assemblati in Nord America.
La definizione ora più chiara e limpida di Feoc sarà accolta con grande favore dalla quella classe politica statunitense, capeggiata dal senatore Joe Manchin, che ha richiamato spesso l’attenzione sulla necessità di adottare misure più concrete per limitare la penetrazione cinese in un’industria delle batterie che vuol definirsi Made in America, a beneficio – e in parte sussidiata – dalla società americana.
Dal punto di vista internazionale, questa misura potrebbe essere un forte incentivo verso la regionalizzazione della supply chain, con la corsa delle aziende che non vorranno perdere l’occasione dell’Ira a investire in paesi con cui gli USA hanno un accordo di libero scambio e soprattutto in allineamento con le clausole anti-cinesi. Questo aspetto sarà particolarmente sfidante, dal momento che attualmente il grosso dell’offerta di materie prime e materiali critici come litio, cobalto, nichel, manganese e grafite è supportato direttamente dalla produzione in Cina o in altri paesi (come Cile, Congo, Indonesia) in cui le società controllate da entità cinesi sono particolarmente consolidate in quei mercati.
Ma vi sono anche opinioni divergenti. Secondo le prime reazioni degli analisti, una struttura proprietaria del 25% potrebbe essere troppo bassa per poter fungere da scudo commerciale. Una percentuale più alta avrebbe sostanzialmente obbligato le entità Feoc ad investire, congiuntamente con aziende locali, nei Paesi in cui vige l’accordo di libero scambio per estrarre e spedire il materiale negli Stati Uniti al fine di qualificarsi per il credito dell’Ira. “In un tempo in cui la Cina utilizza ingenti sussidi per indebolire la manifattura americana e catturare i mercati globali per le componenti delle batterie” accusa Mike Gallagher, deputato del Wisconsin e chairman del Comitato della Camera sul Partito Comunista Cinese, “le nuove regole ingenue del Tesoro apriranno i cancelli alle compagnie cinesi beneficiando dei soldi dei contribuenti americani”.
L’Alliance for Automotive Innovation (Aai), lobby industriale che raggruppa la maggior parte degli OEMs americani dell’auto, ha espresso parere positivo sulla misura, soprattutto per i quasi due anni di tempo per i produttori di adeguarsi alle nuove clausole previste per le forniture di materiali critici. Rimane da capire come e se cambieranno le regole qualora alla Casa Bianca, fra un anno, dovesse insediarsi un Presidente repubblicano a partire dal gennaio del 2025. Un elemento di incertezza per i grandi automakers americani che si aggiunge alla necessità di allinearsi, nel breve termine, alle esigenze di sicurezza industriale del Paese. E che richiederà anche ai grandi player europei – come Stellantis, che ha di recente stretto un accordo con Catl per l’equipaggiamento di batterie Lfp sui suoi veicoli – di tenerne conto se vorranno accedere al mercato americano.