Skip to main content

Missili anticarro dagli Usa al Kosovo. Cosa succede (ancora) con la Serbia

Nella regione sono fino ad oggi stati disinnescati i possibili ulteriori fronti di crisi, dal momento che le guerre a Kyiv e Gaza monopolizzano l’attenzione geopolitica dell’Occidente. Gli Stati Uniti confermano la richiesta di Pristina di missili anticarro, mentre Belgrado si dice “delusa”

Il Dipartimento di Stato americano ha approvato la possibile vendita di 246 missili per 75 milioni di dollari al Kosovo. Tanto è bastato per provocare la reazione del presidente serbo Aleksandar Vučić  che si è detto “molto deluso”, proprio mentre i due Paesi affrontavano una fase di possibile distensione delle relazioni tortuose, non sanate completamente dagli accordi di Ocrida e ancora caratterizzate da certe pressioni esterne mai del tutto sopite. Pristina come Stato non è ancora riconosciuto da Cina e Russia.

La decisione

Secondo l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato americano la proposta di vendita “sosterrà gli obiettivi di politica estera e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti migliorando la sicurezza di un partner europeo che è una forza importante per la stabilità politica ed economica in Europa”. Più volte recentemente la Serbia ha spostato le sue truppe al confine sorvegliato dalle truppe di mantenimento della pace guidate dalla Nato e dalla Kfor, suscitando la preoccupazione di tutto l’Occidente. Per questa ragione il Kosovo ha deciso di potenziare le sue forze armate con droni e missili anticarro, acquistati principalmente dalla Turchia, passaggio non gradito a Belgrado.

Nel sentire che la richiesta del Kosovo per i missili anticarro è stata inoltrata al Congresso americano, la Serbia si è detta delusa ma al contempo convinta di continuare “a lavorare per preservare le relazioni serbo-americane”. Tradotto: possibili tensioni non sono completamente escluse.

Qui Belgrado

Il presidente della Serbia ha dichiarato che “per noi è di grande importanza che la pace nella regione non venga interrotta e che la Serbia continui ad agire in modo responsabile e contribuisca alla stabilità nei Balcani”. Secondo Vučić la Serbia dispone di uno degli eserciti più forti nei Balcani, sottolineando il “gran numero” di carri armati ricevuti dalla Russia prima dell’invasione dell’Ucraina. Al contempo non smetterà di acquistare armi da Pechino e dai paesi del golfo, con il rischio che ci si avvicini ad una pericolosa escalation.

Proprio al fine di evitare frizioni, le truppe britanniche un mese e mezzo fa si erano unite alle altre nell’azione di pattugliamento del confine tra Kosovo e Serbia: la Nato inviò 1.000 truppe aggiuntive nella regione, portando la sua presenza a 4.500 unità provenienti da 27 Paesi. La mossa si era resa necessaria dopo che erano state inviate centinaia di forze aggiuntive dalla Gran Bretagna e dalla Romania per gestire la battaglia scoppiata tra le autorità e i serbi armati rinchiusi in un monastero il 24 settembre scorso: un agente di polizia e tre uomini armati erano stati uccisi nel villaggio di Banjsk.

I rischi sul terreno

Nella regione sono fino ad oggi stati disinnescati i possibili ulteriori fronti di crisi tramite gli accordi di Ocrida, dal momento che le guerre a Kiev e Gaza monopolizzano l’attenzione geopolitica dell’intero occidente. La consapevolezza maturata al di là e al di qua dell’Atlantico si poggia sul fatto che un’ulteriore area di tensioni proprio in Europa sarebbe un fattore insostenibile, mentre la stessa Ue prova a mediare tra i due conflitti, in Ucraina e in Medio Oriente.

I nodi tra i due Paesi vertono essenzialmente su una convivenza resa complessa dalle scelte politiche reciproche. Il Kosovo, a maggioranza etnica albanese, ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia nel 2008, ma il 5% della popolazione del Kosovo, di etnia serba, vive in buona parte nel nord e rifiuta di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, anzi riconosce come capitale Belgrado. Le violenze sono scaturite al fatto che molti serbi si sono rifiutati di immatricolare i veicoli con targa kosovara. Per questa ragione il primo ministro kosovaro Albin Kurti aveva fissato allo scorso primo dicembre la scadenza per circa 10.000 automobilisti per immatricolare le loro auto con i numeri del Kosovo. Decisione non gradita alla minoranza.

L’Ue auspica che la creazione della Comunità dei comuni serbi in Kosovo sia anticamera ad un compromesso che porti di fatto al riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia.

×

Iscriviti alla newsletter