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Così gli Houthi fanno sponda alla narrazione di Mosca e Pechino

Su un giornale russo, un alto funzionario degli Houthi spiega che le navi di Russia e Cina sono al sicuro, perché le due potenze anti-occidentali non sono responsabili della guerra a Gaza e sostengono il cessate il fuoco. Mano tesa alla narrazione anti-Usa sino-russa

In un’intervista pubblicata venerdì dalla russa Izvestia, l’alto funzionario politico e portavoce degli Houthi Mohammed al-Bukhaiti  ha promesso che il gruppo armato yemenita che sta destabilizzando le rotte dell’Indo Mediterraneo permetterà il passaggio sicuro per le navi russe e cinesi attraverso il Mar Rosso. Al-Bukhaiti ha insistito sul fatto che le acque intorno allo Yemen, che alcune compagnie di navigazione stanno evitando a causa delle aggressioni in corso, sono sicure a patto che le navi non siano legate a determinati Paesi, in particolare a Israele (ma anche ai suoi alleati occidentali).

Gli Houthi, che ricevono sostegno militare dall’Iran, dichiarano di aver avviato la campagna di attacchi in solidarietà con i palestinesi di Gaza. Dal 19 novembre sono state trenta le azioni offensive contro cargo di vario genere. Molti degli attacchi sono stati contenuti e disinnescati dalle difese aere statunitensi. Washington ha spostato infatti nell’area una formazione navale di primo livello, composta da portaerei e cacciatorpedinieri. E presto potrebbe partire anche una missione Ue (a cui potrebbe partecipare anche l’Italia). Gli Stati Uniti e l’Unione europea si trovano davanti l’erosione della capacità di deterrenza, subendo non solo le azioni degli Houthi, ma anche quelle di altre milizie collegate all’Iran, in Iraq e Siria.

Anche per tale ragione, gli Usa — che nei giorni scorsi hanno re-introdotto gli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche, dopo una de-classificazione legata al dialogo sulla guerra civile yemenita intrapreso dal gruppo con sauditi ed emiratini — hanno abbinato alla difesa misure offensive. Per almeno quattro volte, cacciabombardieri statunitensi (aiutati dagli inglesi) e mezzi della Us Navy hanno colpito target in Yemen. L’obiettivo di questa reazione è doppio: nell’immediato, tende a depauperare le riserve di armamenti degli Houthi e degradarne le capacità di attacco; nel più lungo termine, serve a ricostruire la deterrenza.

Narrazione e interessi

Ed è in questo quadro che va letta la dichiarazione di al-Bukhaiti al media russo. Mosca e Pechino hanno criticato le attività americane. Le raccontano come infiammatorie, parlano del rischio che esse producano un nuovo fronte nel Mar Rosso; anche se il fronte è già stato aperto dagli Houthi, che utilizzano armi iraniane ma anche componentistica cinese (come raccontato su “Indo Pacific Salad”) e pezzi derivanti dallo smantellamento degli arsenali ex-sovietici (come spiegava Lorenzo Piccioli). E però, è la narrazione che dimostra gli interessi. Cina e Russia — entrambe fortemente interessate a marcare la propria impronta nel contesto geostrategico indo-mediterraneo — vogliono usare la situazione a proprio vantaggio.

“Per quanto riguarda tutti gli altri Paesi, tra cui Russia e Cina, le loro spedizioni nella regione non sono minacciate. Inoltre, siamo pronti a garantire il passaggio sicuro delle loro navi nel Mar Rosso, perché la libera navigazione svolge un ruolo importante per il nostro Paese”, dice il funzionario yemenita inserendosi perfettamente nel dibattito (quasi fosse portato a farlo). Lo storytelling che ne esce a vantaggio di Cremlino e Zhongnanhai è il seguente: gli Houthi attaccano le navi che sono riconducibili alla guerra di Gaza e a chi la sostiene, mentre non colpiscono quelle dei Paesi impegnati a chiedere costantemente il cessate il fuoco, dunque quei Paesi — capitanati da Russia e Cina — sono potenze responsabili che lavorano per la sicurezza collettiva.

È chiaro che la costruzione ha una fallace logica, perché gli Houthi vengono in qualche modo assurti a tutori di un ordine securitario punitivo all’interno di una delle rotte cruciali della geoeconomia globale — il più rapido collegamento tra Europa e Asia. Mentre tali argomentazioni non funzionano all’interno del mondo occidentale, perché stridono con i concetti democratici e di diritto di cui è imbevuto, altrove sembrano visioni pragmatiche.

Per esempio, agli occhi di quel mondo che in Occidente viene definito “Global South”, la posizione cinese (e russa) è apprezzata perché è percepita come mediatrice e non ingerente. Sotto certi punti di vista, non importa se la Cina sia effettivamente impegnata in una mediazione attiva o realistica. È un vantaggio per Pechino, che si inserisce nelle partite solo quando sa di poterle gestire agevolmente (almeno in linea teorica, come con gli screzi tra Pakistan e Iran) e per il resto limita la sua azione al piano retorico.

Non è per altro vero nemmeno che gli Houthi abbiano preso di mira solo le navi israeliane (o americane), ma, spiega una fonte del mondo della sicurezza marittima, “in realtà i ribelli yemeniti hanno preso di mira navi collegabili a decine di Paesi, compreso la Cina”. La Maersk Gilbrata , una nave hongkonghese, è stata attaccata a fine dicembre, per esempio. Ma anche in questo, le parole di al Bukhaiti servono a dare al gruppo un senso di responsabilità collettiva e a portarlo in cima alla resistenza anti-israeliana, che si declina facilmente in anti-occidentale. Posizione sommessamente condivisa dalla Cina e dalla Russia.


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