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Francia e Germania in affanno, e se la stabilità europea si chiamasse Italia?

In Ue praticamente solo l’Italia ha una parvenza e una sostanza di stabilità politica, che si riflette positivamente sui mercati e sul gioco di alleanze e partnership. Il 2024 si apre con una serie di sfide altamente complesse e dalla difficile gestione ma che, al contempo, rappresentano una opportunità oggettiva per Giorgia Meloni: la presidenza italiana del G7 può essere laboratorio dove sperimentare modelli di azione e intuizioni strategiche, come il Piano Mattei

C’è un dato in questo inizio di 2024 che va sottolineato, al fine di avere una mappa politica completa della Ue. In Francia premier dimissionaria, in Germania agricoltori in piazza e Spd al 5% alla vigilia delle regionali, in Spagna al governo chi ha perso le elezioni con l’escamotage dell’amnistia: alla vigilia di euro-urne molto rilevanti e in pieno G7 a guida italiana, in Ue praticamente solo l’Italia ha una parvenza e una sostanza di stabilità politica, che si riflette positivamente sui mercati e sul gioco di alleanze e partnership.

Un elemento che non va sottovalutato, sia se rapportato al recente passato, quando l’asse franco-tedesco si proclamava spina dorsale del corpo europeo, sia alle sfide presenti e future che l’Ue ha l’obbligo morale di affrontare senza ulteriori tentennamenti: su tutte guerre, energia, intelligenza artificiale. La recente doppia scomparsa di due figure centrali per i destini europei come Delors e Schäuble si è verificata proprio in questo frangente, con Francia e Germania che stanno attraversando una fase non lineare.

Emmanuel Macron è consapevole dei sondaggi sfavorevoli rispetto al Rn di Marine Le Pen, per cui ha provato sia a inasprire la postura dell’Eliseo su alcuni temi cosiddetti di destra, come la Carta dei principi che classifica gli imam e impedisce che quelli su territorio francese vengano sostenuti finanziariamente da stati stranieri; sia a individuare un premier che, con maggiore facilità rispetto alla dimissionaria Elizabeth Borne (che all’indomani della vittoria di Giorgia Meloni aveva annunciato di voler “vigilare sui diritti in Italia”) potesse parlare anche ad un elettorato più giovane e non di sinistra. Esitazioni presidenziali ed emergenze francesi, ha titolato oggi Le Figaro.

Olaf Scholz si trova forse nel momento più tempestoso del suo mandato: in affanno sulla manovra, contestato pochi giorni fa nei luoghi dell’alluvione, avversato dagli agricoltori che non accettano le politiche di ultra austerità del suo governo, alle prese con la crisi di consenso della Spd alla vigilia di elezioni regionali dove dovrebbe tornare in auge la stella della Cdu, senza dimenticare le previsioni sondaggistiche sulla Afd, data al 20% e, quindi, elemento politico su cui tutto il panorama partitico teutonico dovrà interrogarsi approfonditamente. Carne, diesel, agricoltori: i verdi sono diventati tossici, ha scritto la Welt oggi osservando che un partito formato, “nella migliore delle ipotesi, da adorabili sognatori, eletti da ideologi gretti e ottusi opportunisti, finiranno all’opposizione dopo un massimo di quattro anni di governo”.

Pedro Sanchez ha vinto l’appoggio dei separatisti catalani al suo esecutivo pagando il dazio di una amnistia, sommata a vari bonus per quelle regioni che gravano e graveranno sul bilancio dello stato: se lo avessero fatto i Popolari e Vox ci sarebbero state conseguenze politiche o procedure Ue.

Infine Bruxelles: il passo indietro di Charles Michel è un piccolo grande segno, che assume un peso specifico maggiore se riflesso anche sulla macro emergenza chiamata guerra dove l’Europa rischia di restare a guardare, proprio mentre il flusso di aiuti militari a Kiev si è affievolito e dove gli annunci di Borrell su Gaza non hanno sortito effetti. Un quadro in cui si rende imprescindibile una rete di alleanze stabili e forti, con governi in grado di mantenere la barra dritta.

Perché in questo quadro scomposto può essere utile il piccolo grande contributo italiano? In primo luogo perché il governo ha affrontato con successo alcune sfide: il pollice in su da parte delle agenzie di rating; la fiducia dei mercati dimostrata dai dati positivi della Borsa di Milano e di uno spread sotto i 170 punti (era a 236 nel luglio 2022); pnrr rimodulato e quarta rata incassata; tasso di disoccupazione totale sceso al 7,5% (-0,2 punti), quello giovanile al 21,0% (-2,5 punti), mentre il numero di occupati a novembre scorso ha superato quello di novembre 2022 del 2,2% (+520mila unità); una manovra responsabile portata a casa senza porre la fiducia sul voto definitivo come non accadeva da almeno un decennio (altro segno della compattezza della maggioranza) e nonostante l’incredibile zavorra del superbonus, spada di Damocle che penderà ancora per molto.

In secondo luogo perché il 2024 si apre con una serie di sfide altamente complesse e dalla difficile gestione ma che, al contempo, rappresentano una opportunità oggettiva per misurarsi: la presidenza italiana del G7 può essere laboratorio dove sperimentare modelli di azione e intuizioni strategiche, come il Piano Mattei, una gestione non passiva dell’intelligenza artificiale, il raddoppio dei canali di approvvigionamento energetico, il rafforzamento di partnership in aree altamente significative come l’Indopacifico.

Restano sul tavolo i problemi legati all’alto debito pubblico e alla capacità di attrazione di investimenti stranieri in Italia: ma le riforme della giustizia e del premierato, nelle intenzioni di Giorgia Meloni, si candidano a risolvere alcuni nodi atavici.

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