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Che cosa (non) cambierà, per ora, con le dimissioni del premier palestinese

Le dimissioni del primo ministro palestinese Shtayyeh aprono a una stagione di riforme nella leadership palestinese? Sull’Autorità di Abbas ci sono pressioni internazionali e scetticismo che qualcosa cambi nel breve termine

“La decisione di dimettermi è arrivata alla luce dell’escalation senza precedenti in Cisgiordania e a Gerusalemme e della guerra, del genocidio e della fame nella Striscia di Gaza”, dice Mohammad Shtayyeh, primo ministro di un governo che amministra parti della Cisgiordania, nella lettera presentata poche ore fa al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas. “Vedo che la fase successiva e le sue sfide richiedono nuovi accordi governativi e politici che tengano conto della nuova realtà a Gaza e della necessità di un consenso palestinese-palestinese basato sull’unità e sull’estensione dell’unità dell’Autorità sulla terra della Palestina”, aggiunge facendo supporre che questo possa essere un primo passaggio del complicato percorso di riforma della leadership palestinese. Le dimissioni arrivano infatti mentre la pressione degli Stati Uniti cresce su Abbas per scuotere l’Autorità e iniziare a lavorare su una struttura politica che possa governare uno stato palestinese post-bellico, qualsiasi esso sia.

È un elemento determinante. Washington pressa anche il governo Netanyahu per fermare la guerra, come obiettivo a lungo termine, mentre nel breve si cerca di evitare l’invasione di Rafah magari anche tramite un nuovo accordo per il rilascio degli ostaggi, come mediato a Parigi. Gli Stati Uniti vogliono rassicurare Israele che stanno lavorando con intensità anche sulla sponda palestinese, perché senza una collaborazione il post-bellico (anche i piani recentemente presentati da Israele stessa) è impossibile da immaginare. E soprattutto è impossibile pensare al procedere delle dinamiche di distensione regionale che coinvolgono Israele e il mondo arabo. Lo scoglio Abbas è importante: il peso del presidente è enorme, la sua sostituzione ormai vista come necessaria da più fronti, la sua presa sul potere molto discussa (basta pensare che fino a 16 ore fa, via media turchi, l’Autorità faceva trapelare che Shtayyeh non si sarebbe dimesso).

In questi ultimi giorni, le fazioni e i funzionari palestinesi stanno tenendo intensi colloqui, preparativi anche di una riunione a cui parteciperanno a Mosca oggi. La Russia proverà a sfruttare la situazione per agire da attore diplomatico responsabile — da usare contro la narrazione che racconta gli Usa come attori infiammatori delle destabilizzazioni, per l’incessante sostegno a Israele. Abbas sta anche tenendo consultazioni con i leader arabi. Secondo le informazioni che circolano da qualche settimana, il leader palestinese stava già progettando di formare un nuovo governo, ma lo avrebbe fatto non appena la guerra a Gaza sarebbe finita. Il suo obiettivo principale sarebbe infatti di supervisionarne la ricostruzione. Il nuovo governo dovrebbe essere composto da esperti (tecnocrati), non da politici. C’è già un nome, Mohammed Mustafa, presidente del consiglio di amministrazione del Palestine Investment Fund, per formare un nuovo gabinetto. Ma Mustafa, seppure con le sue peculiarità e la sua caratura internazionale, rischia di essere comunque un uomo di Abbas, spiega una fonte palestinese, e “il problema non sta nel cambiare il nome, ma nel cambiare il sistema-Abbas quando sarà il momento”.


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