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Dalla drone diplomacy alla Kaan diplomacy, le ambizioni turche sul nuovo caccia

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La Turchia testa con successo il nuovo caccia di quinta generazione, “sostituto” dell’F-35. Aprendo scenari di rilievo sia sul piano della sicurezza che della weapon diplomacy. Come già fatto con i droni

Mercoledì 21 febbraio, la base aerea di Akinci ha ospitato il primo volo del “Kaan”, il prototipo turco di caccia di quinta generazione. Culmine di un processo avviato nel dicembre 2010, quando Ankara ha aperto il programma di sviluppo del velivolo da combattimento. Nell’agosto 2011 è stato poi firmato un contratto di progettazione concettuale tra il governo e l’azienda Turkish Aerospace Industries, a cui è seguito un contratto di sviluppo firmato nell’agosto 2016. Fino al primo volo di prova di pochi giorni fa, a cui seguirà la costruzione di altri cinque prototipi.

Il programma mira a mettere in campo un aereo da combattimento di quinta generazione per soddisfare i requisiti dell’aeronautica militare turca oltre il 2030 (le previsioni sono quelle di mantenerlo in servizio fino al 2037), sostituendo la flotta di F-16 del Paese. Non a caso, il caccia Kaan dovrebbe incorporare la maggior parte delle caratteristiche di un aereo standard di quinta generazione, come la bassa osservabilità, gli alloggiamenti interni per le armi, la fusione dei sensori, i collegamenti dati avanzati e i sistemi di comunicazione. Tutte presenti nei sistemi F-35, dal cui programma Ankara è però esclusa da Washington, dopo la decisione turca di acquistare i sistemi di difesa antiaerea S-400 prodotti dalla Federazione Russa. Spingendo così la Turchia a sviluppare autonomamente capacità multiruolo di quel calibro.

Un aspetto interessante del progetto Kaan è quello “autarchico”: la Turchia mira a diventare uno dei pochi Paesi a possedere l’intera catena del valore per la produzione di aerei da combattimento avanzati, che comprende tecnologia, infrastrutture, risorse umane e capacità produttive. Un aspetto sempre più importante alla luce della frammentazione geopolitica del mondo odierno, dove la disruption delle supply chain è un evento tutt’altro che improbabile, i cui effetti sono in grado di pesare tantissimo. Soprattutto nel campo dell’industria della difesa. Russia docet.

Ma per Ankara, le connotazioni geopolitiche dietro allo sviluppo di un caccia di quinta generazione non si limitano alla tutela delle linee di rifornimento logistiche dei materiali. Il progetto Kaan è anzi una forte opportunità di proiezione esterna: attraverso l’esportazione di un velivolo dalle simili capacità (anche se ridotte rispetto alla versione originale, come da prassi in alcune versioni di sistemi d’arma destinate all’export) la Turchia potrebbe riuscire ad assicurarsi importanti introiti da reinvestire in nuovi progetti, ma anche a creare o a rafforzare la propria posizione diplomatica con gli altri attori coinvolti.

D’altronde, non sarebbe la prima volta. Il Paese guidato da Recep Tayyip Erdoğan ha già dimostrato di saper sfruttare abilmente le proprie capacità nella dimensione unmanned, portando avanti una vera e propria drone diplomacy che gli ha permesso di sviluppare connessioni con vari attori e posizioni d’interesse in vari teatri. Dalla Libia all’Azerbaigian, arrivando fino all’Ucraina.

Non a caso, la scorsa settimana l’ambasciatore di Kyiv in Turchia ad Ankara Vasyl Bodnar ha dichiarato che il suo Paese sta monitorando da vicino lo sviluppo del caccia di quinta generazione made in Turkey, aggiungendo che: “Noi non solo acquisteremo il caccia Kaan, ma lo utilizzeremo, e sappiamo dove verrà impiegato”.

Ma le ambizioni di Ankara si spingono ancora più a Est, verso il continente asiatico. Agli occhi della Turchia, Paesi come Pakistan, Malesia, Indonesia e Kazakistan (che hanno già acquistato in precedenza materiale militare turco) rappresentano possibili acquirenti del nuovo sistema di caccia multiruolo agli occhi del complesso militare-industriale anatolico. Cercando di proporsi come una valida alternativa a Mosca in quel mercato.

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