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Finanza verde, Pechino tenta l’allineamento a Bruxelles. Ecco perché

Le maggiori società cinesi dovranno attenersi a nuove misure di trasparenza dal sapore europeo. La mossa cinese vuole rendere più fluido il commercio e attrarre investimenti esteri. Ma anche le nuove regole cadono nelle contraddizioni del “comunismo con caratteristiche cinesi”

C’è aria di green nella finanza cinese? Le tre principali borse del Paese hanno fatto circolare una bozza del nuovo regolamento per la sostenibilità ambientale, sociale e di governance (o Esg in breve). Verranno applicate a oltre quattrocento società, che insieme rappresentano più della metà del valore di mercato complessivo delle borse stesse; queste aziende dovranno iniziare a pubblicare regolarmente dei rapporti sulla sostenibilità entro il 2026.

Per gli esperti raggiunti da Bloomberg, queste regole “contribuiranno a standardizzare la rendicontazione in Cina e a ridurre i rischi di greenwashing per i gestori finanziari”. È un esercizio di allineamento, spiegano: Pechino sta cercando di adeguare le proprie normative a quelle dell’Unione europea, la più ambiziosa nel campo, dove le aziende dovranno iniziare a fornire informazioni simili a partire da quest’anno.

Man mano che Bruxelles inizia ad applicare gli stessi standard anche a prodotti e servizi di Paesi terzi diventa sempre più vantaggioso rendere il commercio più fluido possibile. Ma c’è un altro motivo: la speranza di attrarre investimenti esteri, che sono colati a picco nel corso del 2023. Pesano una serie di fattori, tra cui il crollo del settore immobiliare, il rischio deflazione e le crescenti tensioni con gli Stati Uniti, conseguenza di una politica estera sempre più assertiva e improntata alla sicurezza nazionale. In altre parole, investire in Cina è molto meno attraente.

Questo vale anche per il poderoso settore greentech cinese, che vale due quinti del Pil del Paese. Queste aziende, grazie alla dominanza lungo le catene del valore, sono all’avanguardia nella commercializzazione dei prodotti, dai pannelli solari alle auto elettriche, che stanno aiutando Cina e altri Paesi – anche e soprattutto quelli europei – a portare avanti la transizione. Anche loro soffrono dei venti economici contrari, nonché dell’eccesso di capacità produttiva che sta allarmando l’Occidente. I fondi cinesi targati Esg sono passati dal detenere 58 miliardi di dollari nel 2022 a 39 nel 2023.

La scommessa di Pechino, dunque, è che le nuove linee guida per la rendicontazione rafforzeranno le sue credenziali verdi – le stesse che sta provando a lustrare anche nel contesto della Cop, addirittura in collaborazione con gli Stati Uniti. Le regole potrebbero incoraggiare gli investimenti nell’intero settore greentech e anche oltre, in industrie più “sporche”, per finanziare la transizione.

Per riuscire nell’impresa Pechino deve poter fornire un certo grado di certezza. E alcune delle regole sembrano andare in senso opposto. Per esempio, rileva Bloomberg, le direttive sul perseguimento della “prosperità comune” implicano che gli investimenti in titoli relativi a carbone e liquori sono leciti se promuovono lo sviluppo rurale. E si è accumulato un corpus massiccio di precedenti in fatto di intervento statale nell’attività dei privati, intimidazioni aziendali, controlli improvvisi e stringenti, spionaggio industriale vidimato da politica e sistema giudiziario.c


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