“È una società fragile quella che aggredisce gli insegnanti, ‘rei’ di far rispettare regole, compito spesso dimenticato da genitori incapaci di educare perché deboli e tolleranti”. Conversazione di Eusebio Ciccotti, preside e storico del cinema, con il magistrato e saggista Vito Tenore, presidente di Sezione della Corte dei Conti, docente Sna e studioso di Diritto scolastico
“Reazioni fisiche genitoriali scomposte sono ormai diffuse e diventano modello per i figli, a loro volta fragili e privi di guide sicure pronti a trasformarsi in aggressori di compagni o di insegnanti, come i fatti di cronaca documentano”. A partire dagli avvenimenti che la cronaca racconta da tempo, Formiche.net ha incontrato il magistrato e saggista Vito Tenore, presidente di Sezione della Corte dei Conti, docente Sna e studioso di Diritto scolastico, per capire gli ultimi fenomeni accaduti tra insegnanti-studenti e genitori e circoscriverne il quadro sociale, relazionale e giudiziario.
Sempre più aggressività nella scuola. Genitori che picchiano docenti e presidi. Secondo lei ciò a cosa è dovuto?
La società è fragile, in crescente crisi valoriale e difetta sempre di più di educazione e rispetto, non avendo molti modelli comportamentali positivi e solidi in nessun contesto: politico, istituzionale, televisivo, mediatico, relazionale. La stessa famiglia, sovente disgregata o comunque incapace di drenare pessimi esempi provenienti dai social media o dalla “strada” e di spingere a ragionare in modo obiettivo, non è più un parametro comportamentale solido per i giovani. Questa crisi di modelli etici, unita alla crescente fragilità psicologica di uomini e donne frutto di tanti fattori (e soprattutto del benessere, di permissivismo fine a sé stesso, di una educazione fatta di SÌ e di pochissimi NO, di una tollerante cultura del “politicamente corretto” che allontana dal ragionamento su problemi ben più seri) si traduce spesso in forme scomposte di reazione a questioni anche bagatellari in contesti scolastici, condominiali, sportivi, stradali e di coppia.
Reazioni fisiche, urla, fraseggio volgare (sino ad arrivare a tragici femminicidi) sono ormai diffusi in una società solo formalmente progredita, ma in realtà molto fragile e che, come tale, si sta involvendo. I più giovani genitori, che hanno a loro volta perso modelli educativi “autorevoli”, ormai assenti almeno nell’attuale generazione, pensano di dimostrare la loro “genitorialità” iperproteggendo i propri figli in contesti scolastici o sportivi aggredendo fisicamente (segno di evidente fragilità) docenti “rei” di voti bassi non graditi o di frasi asseritamente critiche o denigratorie su temi o compiti mal svolti da figlioli ignoranti e svogliati, oppure offendendo o aggredendo genitori di avversari di calcetto (o persino arbitri o allenatori) per questioni vili legate a sfide sportive da parrocchia.
Reazioni fisiche genitoriali scomposte sono ormai diffuse e diventano modello per i figli, a loro volta fragili e privi di guide sicure pronti a trasformarsi in aggressori di compagni o di insegnanti, come fatti di cronaca documentano. Il problema è accentuato dal latente razzismo che connota taluni genitori o, specularmente, da rivalse sociali o etniche in capo ad altri. Tutto questo rancore e livore genitoriale viene percepito e metabolizzato, talvolta in malo modo, dai figli, scatenando reazioni scomposte e violente verso coetanei ancor più fragili o verso insegnanti. È dunque una società fragile quella che aggredisce gli insegnanti, “rei” di far rispettare regole, compito spesso dimenticato da genitori incapaci di educare perché deboli e tolleranti.
Un rispetto che manca non solo nella scuola…
Il non rispetto di chi è istituzionalmente preposto alla osservanza delle regole è avvertibile non solo nella scuola, ma anche in altri settori della società postmoderna e digitale. Si pensi, ad esempio, alle denigrazioni giornalistiche, mediatiche, oltre che nel sentire sociale, nei riguardi della magistratura, della Guardia di Finanza o delle forze di Polizia. Ancora, si pensi alle resistenze da parte di arroganti e prepotenti che incontrano encomiabili politici che osano parlare di doveroso abbattimento di abusi edilizi o di mettere a gara concessioni balneari assegnate senza bandi, o rimuovere invasivi dehor di bar e ristoranti che, superata la fase post pandemica che li introdusse “a tempo”, deturpano le città e intralciano traffico e parcheggio.
Dal punto di vista giuridico picchiare un docente o un preside a scuola cosa comporta?
Comporta sanzioni disciplinari (anche espulsive) per l’alunno aggressore (salvi risvolti civili e penali aggiuntivi), mentre per i genitori “picchiatori” comporta evidenti conseguenze civili-risarcitorie e penali che vanno attivate tempestivamente e sistematicamente. Se poi questi genitori fossero dipendenti (pubblici o privati) o liberi professionisti, queste aggressioni potrebbero essere valutate dal datore di lavoro (pubblico o privato) o dall’Ordine professionale (degli avvocati, dei medici, dei commercialisti, degli ingegneri ecc.), notiziato dai media o dalla scuola, per azioni disciplinari per “condotta extralavorativa disdicevole e configurante reato”. A fronte di un aumento negli ultimi mesi del 111% degli atti di violenza commessi da genitori e parenti nei confronti del personale della scuola, l’amministrazione scolastica, come dichiarato felicemente dal ministro Giuseppe Valditara, potrebbe poi, in aggiunta alle legittime reazioni giudiziarie personali del docente percosso o aggredito, promuovere azioni civili a sua volta nei confronti di tali genitori, dando mandato all’Avvocatura dello Stato nei confronti dei genitori. Se le aggressioni a docenti fossero di alunni, l’amministrazione scolastica (ma anche cumulativamente il singolo docente) potrebbe agire contro i genitori per culpa in educando in base all’art. 2048 del Codice Civile.
Passiamo alle violenze tramite i social. Diversi ragazzi non si rendono conto che l’offesa, o peggio la minaccia, via telefono o su piattaforme social, messaggio scritto o “vocale” che sia, è un grave atto…
Ho pubblicato diversi articoli sull’uso improvvido degli strumenti social da parte di vaste fasce di soggetti, anche adulti, ma il problema per i giovani, “nativi social”, è più diffuso e rilevante, in assenza di una educazione familiare e scolastica sull’uso prudente di cellulari e pc nel dialogare con il prossimo. Il problema riguarda l’intera società “social”, convinta che sulle piattaforme comunicative (ma lo stesso vale per messaggi e whatsapp) si possa scrivere di tutto, denigrare, offendere, intimidire, pubblicare foto e filmati inopportuni senza alcun limite. Invece la libertà di pensiero ha limiti delineati da anni dalla Cassazione per giornalisti e cittadini: tali limiti vanno rinvenuti nel rispetto del prossimo (che non può essere diffamato, ingiuriato, calunniato, minacciato, deriso e messo alla gogna), nella continenza formale delle frasi (i concetti vanno espressi con educazione e in modo argomentato), nel segreto (d’ufficio, professionale, istruttorio, bancario, industriale, epistolare ecc.), nella verità di ciò che si scrive. Va diffusa una formazione costante nelle scuole e in famiglia ad un uso accorto dei social.
E forse non basta cancellarla una frase minacciosa, volgare o inopportuna…
I social lasciano tracce indelebili: verba volant, social manent. Una infelice frase pubblicata su piattaforme social, in messaggi di telefonini, in un commento in riviste o giornali telematici, lasciano tracce telematiche indelebili, durature e difficili da cancellare. Le vittime di aggressioni o denigrazioni telematiche, con frasi, foto e filmati, restano esposti a una gogna mediatica e al ludibrio per mesi, anni o per sempre! Bisogna attivarsi sui provider o su gestori per chiedere la rimozione di tali messaggi da piattaforme aperte (conservandone copia per eventuali azioni giudiziarie civili e penali). Per sms e whatsapp, trattandosi di corrispondenza privata, previa denuncia di chi invia messaggi minatori o offensivi, è possibile rimuoverli più agevolmente, conservandone copia per le competenti sedi giudiziarie.
In questi giorni si dibatte sui danni che i ragazzi, durante una occupazione o autogestione, procurano alla scuola o ai beni in essa contenuti. Che tipo di reato commettono?
Il problema è antico: anche quando io ero ragazzo si occupavano talvolta scuole, ma con fini più idealisti (ma parimenti non condivisibili, traducendosi in interruzioni alla ordinaria didattica) di “autogestione” e di discussione su temi sociali. Oggi le occupazioni si traducono in atti vandalici fini a sé stessi con meri sprazzi ideali. Una sparuta minoranza impone, in modo poco democratico, ai restanti studenti una interruzione del percorso didattico e produce danni al patrimonio dell’amministrazione scolastica. Diverse le conseguenze di queste condotte: oltre ai profili civili-risarcitori, sono ipotizzabili i reati di danneggiamento, imbrattamento, furto aggravato.
È giusto che i ragazzi, ossia i loro genitori, rifondano la scuola dei danneggiamenti subiti?
Assolutamente sì! Secondo elementari regole di civiltà ribadite dal codice civile, chiunque arrechi danni ad altri deve risarcirli. I genitori si presumono responsabili dei danni arrecati dai figli in base all’art. 2048 cod. civ., salvo provino (ma la probatio è diabolica) di non aver potuto impedire il fatto o di aver dato una idonea educazione. Ma questo non sempre è provabile, soprattutto in contesti familiari carenti o disgregati per tumultuose separazioni e divorzi, o in contesti degradati e frutto di società ormai multietniche che pongono talvolta problemi di difficile integrazione, su cui la scuola è opportunamente impegnata.
Si configurerebbe come “abuso di autorità” se il Consiglio di classe applicasse il 4 in comportamento a chi ha danneggiato la scuola o i suoi beni e, di fatto, non ammettendo il ragazzo alla classe successiva?
Assolutamente no: come ho scritto nel mio volume, “Il dirigente scolastico e le sue competenze giuridico-amministrative”, gli studenti sono sottoposti ad un regime disciplinare previsto dal d.p.r. 24 giugno 1998 n.249 “Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria”. Lo Statuto descrive, nel rispetto dei principi di matrice penalistica di responsabilità personale, di tassatività e proporzionalità delle sanzioni, i diritti e i doveri dello studente (tra i quali il non danneggiare beni scolastici), i valori e principi sottesi al procedimento disciplinare, le sanzioni, le competenze sanzionatorie, l’iter procedimentale e i possibili mezzi di impugnazione. Tale testo viene (o dovrebbe) essere consegnato ad ogni studente al momento dell’iscrizione in base all’art.6, co.6 dello Statuto, ma è comunque on line nel sito di ciascuna Scuola, unitamente al Regolamento d’Istituto. Pochi alunni e genitori lo leggono. L’inflizione di sanzioni disciplinari, soprattutto se gravi o reiterate, ben può incidere sul giudizio sulla condotta che può condurre alla non ammissione alla classe successiva o all’Esame di Stato (tra le tante Tar Toscana, sez. I, 29 maggio 2018 n.755; Tar Lazio, Roma, sez. III-bis, 19 ottobre 2018 n.10103).