La Commissione europea ha deciso di applicare tariffe retroattive alle auto elettriche già importate dal Paese asiatico. Qualora l’indagine dovesse (probabilmente) concludersi con misure protezionistiche, ecco quali potrebbero essere le conseguenze…
La Commissione europea, che a settembre scorso ha avviato una procedura per indagare le importazioni di auto elettriche a batteria (BEV) dalla Cina, ha deciso di muoversi con anticipo sulla conclusione dell’indagine. Secondo un documento diffuso nella giornata di lunedì, l’Ue starebbe valutando di imporre tariffe con effetto retroattivo anche sui BEV già importati dal paese asiatico.
La misura sarebbe prevista per difendere le case automobilistiche europee dalla concorrenza sleale dell’industria cinese, dal momento che esisterebbe già “sufficiente evidenza” che i grandi colossi dell’elettrico, come Byd, SAIC, Nio e Tesla China e altre aziende coinvolte nell’ecosistema cinese, abbiano esportato in Europa beneficiando di aiuti di Stato. Si tratterebbe di tre categorie di sussidi: trasferimento diretto o potenziale di fondi, tasse o prodotti/servizi forniti dal governo senza opportune riscossioni.
Tra i risultati preliminari, come si legge dal documento che anticipa con tutta probabilità il futuro Regolamento alla conclusione dell’indagine, si evidenzia una notevole crescita delle importazioni in un periodo di tempo limitato (tra ottobre 2023 e gennaio 2024), con quasi 180.000 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+11%) nella media mensile. A questo proposito e sulla base dei dati preliminari, la Commissione ammette che la possibile invasione di auto elettriche cinesi sussidiate (definito nella nota come il “danno”) sembra essersi già materializzato prima della conclusione dell’indagine. “Un numero crescente di produttori dell’Unione” si legge “patirà l’erosione delle vendite e ridotti volumi di produzione se le importazioni proseguiranno ai livelli correnti e a prezzi sussidiati dalla Repubblica Popolare Cinese”, con effetti deleteri su occupazione e la performance dei costruttori europei.
Il documento, dunque, già delinea la posizione della Commissione e anticipa quella che potrà diventare una vera e propria ‘guerra’ commerciale con Pechino. Le tariffe provvisorie dovrebbero essere introdotte entro luglio, mentre i dazi definitivi dovrebbero essere applicati entro novembre secondo quanto previsto a Bruxelles. Misure protezionistiche che si aggiungono ad un contesto sempre più teso sul fronte tecnologico e commerciale: venerdì l’amministrazione Biden ha deciso di accendere un faro e un presidio sull’importazione di auto elettriche ed autonome per presunti rischi sulla sicurezza nazionale, oltre alle clausole dell’Inflation Reduction Act (IRA) per disarticolare la supply chain di materiali e minerali critici dai fornitori cinesi.
La Camera di Commercio cinese in Ue si è dichiarata delusa dalla mossa della Commissione, oltre a specificare che la crescita delle importazioni riflette, invero, un aumento della domanda sul continente di EV. “Speriamo vivamente che la controparte europea salvaguardi efficacemente i diritti e gli interessi legittimi delle imprese cinesi e stabilisca per loro un ambiente commerciale equo, imparziale e non discriminatorio”, ha dichiarato la Camera. “Questo, a sua volta, faciliterà il nostro contributo congiunto alla trasformazione globale a basse emissioni di carbonio”.
Secondo i dati raccolti da Bloomberg, l’Ue ha contato per circa un terzo delle esportazioni di auto elettriche dalla Cina, per un valore di $12.7 miliardi tra gennaio e novembre del 2023, mentre solo $1.6 miliardi sono state le esportazioni di auto elettriche di marchi europei. I dati riflettono un trend ormai in consolidamento, con i marchi cinesi – soprattutto Byd – ormai dominanti tra i BEV in Cina soprattutto per i costi contenuti e prodotti molto popolari (come la Seagull del colosso fondato da Wang Chuanfu). Rimane da capire anche quale potrebbe essere la reazione degli OEMs europei che, per non perdere l’accesso al mercato cinese e soprattutto alla tecnologia delle batterie di Catl, hanno investito in Cina come Stellantis. Proprio il predominio cinese sulla tecnologia e manifattura delle batterie al litio, oltre alla presenza attiva lungo la supply chain e a sufficienti economie di scala nel paese, ha permesso di ottenere miglioramenti significativi, oltre ad una necessaria riduzione del costo delle batterie per raggiungere la parità con i veicoli a combustione (ICE).
Dunque, non è una sorpresa che i veicoli elettrici di produzione cinese possano ritagliarsi ampie fette di mercato anche fuori della Cina, con Byd che punta proprio all’Europa con una gamma di veicoli elettrici a basso prezzo. Byd da sola ha venduto 1,6 milioni di veicoli elettrici a batteria lo scorso anno, avvicinandosi agli 1,8 milioni di vendite complessive di BEV di Tesla. Sommando le vendite di tutti i cosiddetti veicoli a nuova energia, compresi i veicoli a batteria e gli ibridi plug-in, Byd ha venduto 3 milioni di veicoli nel 2023 superando così per la prima volta l’azienda di Elon Musk (la Byd Song Plus e la Tesla Model Y rimangono i due veicoli più venduti in Cina, rispettivamente con il 6.3 e 5.4% dello share di mercato secondo i dati di EVvolumes). Se guardiamo ai dieci veicoli più venduti nel mercato cinese BEV (che rappresenta il 37% di tutte le vendite di veicoli elettrici), solo uno dei veicoli (la Tesla Model Y) viene venduto a un prezzo superiore a 25.000 dollari, mentre sette dei primi dieci sono stati venduti a meno di 19.000 dollari a veicolo. Cinque sono veicoli del marchio Byd, insieme ad Aion e Wuling.
Questi dati, dunque, sembrerebbero confermare le preoccupazioni della Commissione, il cui punto è essenzialmente questo: se i veicoli elettrici cinesi continueranno ad arrivare nell’Ue a questo ritmo, sostenuti da vantaggi governativi e costruiti da manodopera a basso costo (e potenzialmente illegale, in alcuni casi), Stellantis, Volkswagen, Renault, BMW e altre case automobilistiche europee saranno messe fuori mercato se non correranno ai ripari. Allo stesso tempo, per provare a competere con i cinesi, i brand europei saranno costretti a collaborare (come già sta accadendo) con produttori di batterie asiatici, siano essi cinesi come Catl o la stessa Byd, o coreani e giapponesi per ridurre i prezzi di listino o immaginare nuove offerte. Tuttavia, risulta sostanzialmente non replicabile uno dei vantaggi dei produttori cinesi: la forte integrazione verticale, con un modello costruito nel tempo, con alti costi di R&D e investimenti. Pensiamo anche alle navi container di Byd: quale altro brand europeo si lancerebbe in questa iniziativa? E quanto saranno pronti, in un contesto che non vede, per ora, aiuti di Stato o dalla Commissione che siano paragonabili all’IRA americana, i costruttori europei a cambiare il proprio business model, sacrificando i margini di profitto per lanciare sul mercato modelli a basso costo? Quanto inciderà, invece, l’incertezza normativa con le elezioni europee di giugno?
La Cina rimane comunque il mercato BEV più grande del mondo. Il tasso di penetrazione di BEV sul totale dei veicoli venduti, nel 2023, è stato di circa il 32%, poco più alto del 2022. Alcuni analisti si chiedono se il mercato cinese sia in rallentamento, ma è difficile prevedere un 2024 in ritirata considerando soprattutto i prezzi delle materie prime (come litio, cobalto e nichel) in picchiata, dal momento che il costo materiale delle batterie è ormai predominante: un trend che aprirà alla possibilità di nuovi guadagni in termini di costi (kWh/$) delle celle per batterie, come già annunciato da Catl. La forte concorrenza dei coreani come LG Energy Solution e Samsung SDI porterà i produttori cinesi ad un vortice al ribasso pur di non perdere la leadership di mercato.
Saranno le misure protezionistiche imposte a Bruxelles a salvare, dunque, l’industria automotive europea dall’invasione cinese? I costi di produzione (manodopera, merci, ecc.) sono talmente più bassi, la competenza produttiva attualmente più solida in Cina che questi veicoli possono essere assemblati per una frazione del costo di produzione in Europa (e negli Usa). Questo probabilmente permetterà ai marchi cinesi di offrire prezzi inferiori a quelli dei produttori continentali, anche se l’Ue imponesse tariffe commerciali. Quindi la risposta è no. Si tratta di una misura comunque necessaria per dare un po’ più respiro alla forte concorrenza cinese, ma è possibile che l’attuale Commissione abbia richiesto ai rappresentanti dei brand automotive garanzie sui loro impegni alla decarbonizzazione della flotta. E su come intendono raggiungerli: secondo una analisi di Transport&Environment, solo il 17% delle auto elettriche vendute in Europa è costituito da veicoli compatti del segmento B, più economico, rispetto al 37% delle nuove auto a combustione. Secondo la ricerca, le case automobilistiche stanno rallentando l’adozione di modelli BEV più economici dando priorità alle vendite di auto elettriche nei segmenti premium, più remunerativi e nell’ottica di massimizzare i profitti, citando la scarsa domanda di veicoli elettrici a batteria da parte dei consumatori. In realtà le vendite europee di BEV sono aumentate del 28%, con 1,5 milioni di veicoli venduti e la quota di mercato di quest’ultimi sul totale
di auto vendute aumentata al 14,6% lo scorso anno rispetto al 12,1% del 2022.
In conclusione, come si intuisce dalla posizione della Camera di Commercio cinese, sarebbe del tutto incoerente da parte della Commissione perseguire stringenti obiettivi di neutralità climatica per la mobilità (con il phase out dei motori a combustione nel 2035), scaricando sostanzialmente i costi sui consumatori e i produttori europei, e al contempo iniziare una guerra commerciale verso un’industria (quella cinese) che ha raggiunto proprio quell’obiettivo: la commercializzazione di EV più economici. Sul come e quanto questo sia stato possibile anche grazie ai sussidi di Stato, questo lo scopriremo alla conclusione dell’indagine. Resta comunque la scelta di quanto correre in Europa sull’elettrificazione, qualora non vi siano stravolgimenti politici dopo giugno (e considerando comunque gli ingenti investimenti del settore privato su gigafactory e impianti), puntando anche e soprattutto sull’innovazione, per introdurre sul mercato nuove tipologie di batterie e materiali che tolgano la Commissione da questo, evidente, cortocircuito creatosi dal nesso tra ambizioni climatiche e ritardi tecno-industriali. Anche se su questo aspetto, le industrie cinesi (e non solo) stanno iniziando a correre (sul sodio e le batterie allo stato solido) per non perdere il vantaggio tecnologico guadagnato in quest’ultimo decennio.