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Cara vecchia austerity. Così la Cina mette a dieta i trader

Negli ultimi due anni gli stipendi degli operatori di Borsa sono crollati di svariati milioni di yuan, così come quelli dei manager. Colpa di un’economia mai così anemica ma anche della nuova isteria da disuguaglianza del partito

Finché erano i banchieri poteva anche passare. Ma quando sono gli agenti di Borsa a doversi vedere la busta paga più leggera, allora la musica cambia. Poche settimane fa Formiche.net ha raccontato come molti manager delle banche cinesi, abbiano dovuto addirittura restituire i bonus percepiti negli anni scorsi. Le pessime condizioni della seconda economia globale, d’altronde, non permettono più simili emolumenti.

Ora però tocca ai trader, l’anello di congiunzione tra i mercati e l’economia reale, tra la finanza e il risparmio. Sì, perché i massimi dirigenti delle più grandi società di intermediazione cinesi si sono visti ridurre lo stipendio degli ultimi due anni. Un dato che emerge chiaramente dai bilanci pubblicati dalle principali società che operano sui mercati azionari. Un esempio? I primi tre dirigenti di alcuni dei principali broker statali cinesi, tra cui Csc Financial, Citic, China International Capital Corporation (Cicc), Huatai Securities e Guotai Junan Securities, hanno subito tagli alle retribuzioni nel 2022 e nel 2023.

Complessivamente, nove delle prime dieci società di intermediazione per fatturato in Cina, hanno registrato un calo delle retribuzioni dei loro dipendenti lo scorso anno. Alla Cicc, i primi tre dirigenti hanno guadagnato 7,3 milioni di yuan (1 milione di dollari) tra loro l’anno scorso, rispetto ai 10,9 milioni di del 2022 e ai 25 milioni  del 2021. Alla Citic, invece, il totale è stato di 16,8 milioni di yuan, rispetto ai 18,3 e ai 33,9 milioni dei due anni precedenti, mentre alla Guotai Junan la retribuzione è scesa a 8 milioni nel 2023, rispetto ai 9,9 milioni del 2022 e ai 12,1 milioni del 2021. Insomma, una netta contrazione dei guadagni.

Tutto questo mentre a un mese della fine del Congresso del popolo, dal quale è uscita l’agenda economica cinese, per il Dragone è tempo di continuare a vedersela con lo scetticismo circa le sue possibilità di uscire dal tunnel. Cosa che, sostengono gli economisti Daniel H. Rosen e Logan Wright dalle colonne di Foreign Affairs, a dire il vero converrebbe un po’ a tutti. Come a dire, se la Cina guarisce (Country Garden Holdings, uno dei maggiori gruppi immobiliari cinesi, in difficoltà, ha dichiarato martedì che la negoziazione delle azioni alla Borsa di Hong Kong sarà sospesa dopo aver perso il 38% da inizio anno, tanto per dirne una), al mondo non può che giovare.

“L’economia cinese è cresciuta a malapena negli ultimi due anni. Le cause immediate, tra cui il calo dell’edilizia immobiliare e le maldestre politiche zero Covid che hanno indebolito gli investimenti del settore privato, sono ben note. Ma le radici della stagnazione sono sistemiche e le aziende e gli analisti cinesi, così come i governi e le imprese di tutto il mondo, hanno atteso con trepidazione che Pechino chiarisse i suoi piani per riportare l’economia del Paese su un percorso più stabile”. Ma così non è stato.

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