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I tre fronti di Kyiv. Così combattimenti, morale e sistema internazionale pesano sul conflitto

L’approccio proattivo di Macron fortifica il morale di Kyiv, impegnata in una guerra che non sembra destinata a finire presto. E mentre i bombardamenti russi si intensificano sia al fronte che nelle retrovie, la propaganda del Cremlino prova a fiaccare l’avversario. Il resoconto degli esperti  dell’International centre for ukrainian victory

“Molti media parlano dei cosiddetti ‘boots on the ground’, perché è un concetto capace di fare presa sulla mente delle persone. Ma l’iniziativa portata avanti dal Presidente Macron è molto più ampia”. Olena Halushka, co-fondatrice dell’International Centre For Ukrainian Victory e capo della sezione Relazioni Internazionali dell’Anti-Corruption Centre di Kyiv, è parte di una delegazione ucraina impegnata in un viaggio su più tappe attraverso l’Europa per promuovere la posizione di Kyiv. Dopo una prima tappa parigina e prima di proseguire per la Norvegia, la delegazione si è fermata a Roma, dove Formiche.net ha avuto la possibilità di incontrarla. E proprio l’approccio adottato dall’inquilino dell’Eliseo è il primo tema affrontato durante l’incontro. In particolare, la disponibilità mostrata dal Presidente francese ad abbandonare le “linee rosse” attualmente esistenti per sostenere la lotta dell’Ucraina in modo proattivo, attraverso nuovi mezzi e strumenti. Curandosi anche di spiegare al popolo francese perché seguire questa linea, e perché una sconfitta per l’Ucraina sarebbe una sconfitta per l’Europa. “Uno degli aspetti più importanti della postura adottata da Macron è quello dell’ambiguità strategica, secondo cui niente può essere escluso a prescindere”, sottolinea Halushka, “Per due anni, l’Occidente ha rifiutato pubblicamente di fornire al nostro Paese carri armati moderni, Himars, velivoli da caccia, missili a lungo raggio. Autoimporsi pubblicamente queste limitazioni è un approccio controproducente, perché Putin può fare dei calcoli al riguardo”.

E anche la tempistica è centrale. Ad oggi, soltanto il ponte di Kerch collega la penisola di Crimea all’heartland: l’uso di missili a lungo raggio di manifattura europea permetterebbe alle forze armate ucraine di compromettere l’infrastruttura, isolando logisticamente la penisola occupata. Tuttavia, la Russia sta costruendo una nuova ferrovia che passando attraverso i territori occupati collegherebbe la Crimea al continente. Se i sistemi d’arma arriveranno tra due anni, quando i russi avranno finito i lavori e disporrano di supply routes alternative, sarà già troppo tardi. “Esattamente come nel caso degli Abrams e dei Leopard: se li avessimo avuti durante le controffensive dell’Autunno/Estate 2022, avrebbero avuto certi effetti; dopo che i russi hanno costruito i loro sistemi difensivi, non sono più efficaci. Dobbiamo evitare di ripetere gli stessi errori”, ricorda Halushka.

Ma l’urgenza non riguarda solo i missili a lungo raggio, come gli Storm Shadow inglesi o i Taurus tedeschi. Le forze armate di Mosca hanno ripreso con vigore la campagna di bombardamenti missilistici rivolta verso i bersagli civili e le infrastrutture energetiche ucraine, arrivando a colpire anche città site molto in profondità e implementando le lezioni apprese fino ad ora ad aumentare l’efficacia. Neanche la condanna per crimini di guerra, emessa un mese fa dal Tribunale Penale Internazionale nei confronti di due ufficiali russi considerati responsabili per simili atti, è riuscita a ridurre il ritmo dei bombardamenti. L’unico modo per proteggere la popolazione ucraina è attraverso lo schieramento dei Patriot, o di altri sistemi analoghi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto che sarebbero necessari venticinque sistemi per garantire la sicurezza dei maggiori centri abitati del Paese.

E se nelle retrovie la minaccia dei missili russi è quella predominante, lungo la linea del fronte il problema principale è quello delle glide bombs: semplici ordigni (di cui gli arsenali russi sono stracolmi) appositamente adattati tramite l’aggiunta di piccole ali e di una coda, così da permettere loro di planare per decine di chilometri. “Dopo essere state sganciate da un velivolo, gli adattamenti più recenti di questi ordigni possono planare per novanta chilometri, quasi il doppio rispetto alle versioni precedenti. A questa distanza, i jet russi non devono entrare nell’area delle difese aree tattiche ucraine. E non è solo la distanza ad essere raddoppiata: dalla tonnellata e mezzo di esplosivo delle prime versioni, adesso stiamo passando alle tre tonnellate. Un potenziale distruttivo enorme. Inoltre, una volta lanciate è pressoché impossibile intercettare questi proiettili”, afferma Halushka. “E con queste armi, per la prima volta dal 2022, i russi hanno ricominciato a bombardare il centro di Kharkhiv. Dopo che il fronte si era spostato di nuovo verso est era più difficile per loro colpire la città. Ma ora che hanno ampliato il raggio delle glide bombs hanno ricominciato, sparando dall’oblast russo di Belgorod. I russi vogliono fare a Kharkiv quello che hanno fatto a Mariupol, ad Aleppo, a Grozny. Il rischio della catastrofe umanitaria è concreto. E c’è anche una questione demografica e migratoria: donne e bambini scappano dalla guerra e cercano rifugio in altri Paesi, dai quali forse non ritorneranno. E nel medio termine per l’Ucraina, che già sta pagando un costo pesantissimo in termini di vite umane, questo sarà un problema molto grave. L’unico modo per fermare questo scempio è quello di scacciare gli aerei russi fuori dal raggio d’azione di questi ordigni. E ciò può essere fatto solo con jet e radar di manifattura occidentale. Che rimangono la priorità numero uno”.

Nella Kharkiv martoriata dai bombardamenti, è stato ritrovato un residuo di proiettile con sopra scritto “Questo è per il Crocus City Hall”, in riferimento all’attacco terroristico condotto poche settimane fa nei sobborghi di Mosca dall’Isis-K. Non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Iran aveva avvertito il Cremlino dei rischi di un attentato organizzato dal gruppo islamista. Ma adesso l’establishment russo incolpa l’Ucraina di essere responsabile. “Stanno artificialmente incrementando il risentimento della popolazione russa nei confronti dell’Ucraina”, suggerisce Iryna Krasnoshtan, senior program manager dell’International Center for Ukrainian Victory,.“Il Cremlino non si è curato degli avvertimenti e ha lasciato che il gesto venisse commesso, forse anche volutamente, per poter poi sfruttarne le conseguenze in modo strumentale ai suoi scopi. Il regime russo non si cura delle vittime civili. Nel clima che si è venuto a creare, è stato più facile per Putin promuovere la nuova ondata di mobilitazione lanciata all’indomani dell’attacco. Inoltre, la Russia ha storicamente usato questi eventi per diffondere la paura e limitare ulteriormente le poche libertà rimaste in Russia, così da rendere più obbediente la società nei confronti delle direttive del regime”.

La propaganda del regime però non si rivolge soltanto al fronte domestico. Mosca promuove alacremente il suo information warfare anche verso l’esterno, attraverso due direttrici separate ma collegate tra loro: una rivolta all’Occidente, e una all’Ucraina. La Russia cerca di convincere gli ucraini che l’Occidente li sta abbandonando, che non è interessato alla loro sorte, che sono rimasti soli. Gli Ucraini vedono questa guerra come esistenziale, e sono pronti a combattere; ma allo stesso tempo, vedere che i partner hanno interrotto l’invio di aiuti per questioni di natura prettamente domestica incide sul morale. Offrendo così oceani blu alla propaganda di Mosca. “Uno dei bersagli della propaganda russa è il processo di mobilitazione, proprio perché sanno che il morale è in crisi”, ci fa notare Krasnoshtan, “Eserciti di troll si riversano sui social spacciandosi per veri ucraini chiedendosi ‘Perché dobbiamo combattere in questa guerra?’. E in minima parte, queste narrative attecchiscono. E il rinnovato impegno di Macron è importante anche per questo”.

Anche perché la pace sembra ancora lontana. Anche se piccoli passi in questa direzione ci sono. Come l’iniziativa promossa dal presidente Zelensky per organizzare un summit di pace in Svizzera, finalizzata ad ingaggiare nel processo i Paesi di tutto il mondo, dall’Asia all’Africa e all’America Latina, per contribuire con le loro proposte e le loro visioni. “Ma quel che è certo è che non c’è da trattare con Mosca”, asserisce decisa Halushka, “Il Cremlino vuole soltanto l’Ucraina, e la vuole ad ogni costo, conquistandola o distruggendola. Non c’è spazio per compromessi. Dobbiamo vincere questa guerra, perché questo è l’unico modo per riportare la pace duratura in Ucraina”.

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