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Gli interessi strategici guideranno la risposta iraniana contro Israele?

Per Salesio Schiavi, “Teheran non rischierebbe mai uno scontro diretto contro gli Stati Uniti”. È l’elemento centrale nella valutazione su come l’Iran gestirà la rappresaglia attesa da Israele

Anche gli Stati Uniti sono ormai convinti che nel giro di pochi giorni l’Iran attaccherà Israele come rappresaglia per il bombardamento all’edificio consolare dell’ambasciata iraniana di Damasco: “È inevitabile”, dicono le solite fonti anonime alla Cnn. È una preparazione in parte snervante, che però serve anche a sottolineare che le informazioni circolano, si conoscono le intenzioni, per certi versi si comprendono, ma le intelligence possono anticipare altre mosse ed è in generale meglio gestire la situazione con controllo.

In Israele è di fatto tutto pronto. Sono stati allertati i riservisti (soprattutto delle forze di difesa aerea, perché potrebbe essere missilistico o con droni l’attacco iraniano), sono stati predisposti turni rinforzati negli ospedali, ma non ci sono linee guida né delle forze armate né della protezione civile. La vita continua: tanto che è stato chiesto di evitare assalti ai supermercati e ai bancomat – che potrebbero innescare effetti economico-commerciali più complicati da gestire – ma i cittadini sono stati invitati a tenere un po’ di denaro cash a disposizione.

Questo perché è possibile che Israele venga colpita anche da attacchi informatici. La dimensione cyber della rappresaglia iraniana potrebbe per esempio bloccare i sistemi di pagamento digitali, e produrre disagi nelle quotidianità. A questo serve l’invito a tenere contanti, con un messaggio chiaro: i cittadini israeliani devono continuare a vivere regolarmente anche davanti alla minaccia imminente – condizione di insicurezza a cui per altro sono ben abituati e resilienti da sempre – e la disponibilità di soldi liquidi serve a evitare seccature per affrontare anche soltanto le spese del weekend.

Ma come sarà l’azione iraniana? “Sebbene non si possa astenere dal non agire, sia a causa di elementi esogeni che endogeni, la Repubblica Islamica fino ad oggi ha prediletto azioni simboliche, spendibili soprattutto per il mercato interno, piuttosto che veri e propri attacchi diretti”, risponde Francesco Salesio Schiavi, analista esperto di Medio Oriente. “D’altronde la già fatto nel 2020 rispondendo all’eliminazione statunitense del generale Qassem Soleimani, ma c’è anche il precedente di appena tre mesi mesi fa in Siria e Kurdistan iracheno”.

Per Salesio Schaivi, “in ogni caso, Teheran non rischierebbe mai uno scontro diretto contro gli Stati Uniti. E poi c’è da tenere chiaro un contesto ampio: 15 aprile, il premier iracheno, Mohammed Shia al Sudani, sarà in visita a Washington per parlare del futuro delle truppa statunitensi nel Paese”. L’Iran vorrebbe gli americani fuori dall’Iraq per poter gestire più liberamente la propria influenza, ma con un’azione troppo violenta contro Israele innescherebbe il processo opposto.

“Oltre a questo, gli attacchi terroristici nel Baluchistan nei giorni scorsi sono un altro monito per Teheran a non alzare la posta in gioco su troppi tavoli e in una misura ben al di là delle sue capacità”. C’è da valutare che “un ulteriore inasprimento della crisi a livello regionale potrebbe avere inoltre avere pensanti conseguenze diplomatiche, in primis con gli altri attori del Golfo, i quali hanno fin da subito espresso solidarietà dopo il raid a Damasco e con cui Teheran sta da tempo portando avanti una politica di progressiva distensione (prima fra tutto, l’Arabia Saudita)”.

In un messaggio scritto dal vice capo dello staff della presidenza iraniana, Mohammad Jamshidi, veniva avvertita la leadership statunitense di “non farsi nella trappola di Netanyahu: state distanti e non fatevi del male”. Il portavoce del dipartimento di Stato ha detto che in risposta, gli Stati Uniti hanno chiesto all’Iran di non prendere di mira le strutture americane – di questi attacchi ce ne sono state decine dall’attentato di Hamas del 7 ottobre, centinaia negli anni precedenti, ma sono stati attualmente sospesi dopo che in uno sono morti tre americani, suscitando una reazione durissima di Washington.

Un attacco diretto a Israele da parte dell’Iran è uno degli scenari peggiori a cui l’amministrazione Biden si sta preparando, in quanto potrebbe facilmente significare una rapida escalation, ampliando la guerra tra Israele e Hamas – già problematica per l’amministrazione Biden – in un conflitto regionale più ampio, cosa che Washington ha a lungo cercato di evitare. Anche pensando che a novembre si vota per rinnovare l’inquilino della Casa Bianca.



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