Un cambio di scenario tattico dell’approccio israeliano alla guerra, con Hamas che serve al piano interno, mentre l’attenzione si sta ampliando al fronte con l’Iran. È questo per Dentice (CeSI) il maggiore elemento che emerge nell’ultimo mese, quello che ci porta a mezzo anno di guerra in Israele
Sei mesi di guerra, mezzo anno, e la situazione nel Medio Oriente traviato dal conflitto tra Israele e Gaza non sembra vedere luce in fondo al tunnel. Anzi, l’attesa di un attacco di rappresaglia iraniano contro Israele riapre alla peggiore delle preoccupazioni: l’espansione dei combattimenti a livello regionale, laddove la crisi innescata dagli scontri ha già colpito. E l’attacco con un drone su Eliat (lanciato da una milizia sciita dalla Siria) e il ritorno delle azioni contro il contingente americano nella regione (nel caso quello della guarnigione di al Tanf, in Siria) sono marker indicativi, arrivati tutti nelle ultime ore, di come e quanto le dinamiche dell’area si connettano pericolosamente a quelle della guerra.
“Lo scenario regionale è ormai altamente degradato e tende al peggioramento, con un potenziale cambio di visione da parte israeliana riguardo al conflitto: perché quella che era una guerra contro Hamas pare che stia diventando una guerra contro l’Iran e i suoi proxy, come d’altronde dimostra l’attacco contro l’ambasciata iraniana a Damasco”, commenta Giuseppe Dentice, responsabile del Mena Desk del CeSI, con cui Formiche.net analizza l’evoluzione del conflitto sin dal 7 ottobre – quando Hamas diede via alla stagione di guerra con l’enorme attentato. “Questo attacco non è solo significativo perché è un’azione militare contro una sede diplomatica di un Paese non direttamente coinvolto, oltretutto in un Paese terzo anch’esso non coinvolto nel conflitto. Ma significa anche che Israele sta cercando di colpire tutto quell’Asse della Resistenza connesso all’Iran, di farlo in profondità e senza troppe remore, ossia mira a ciò che vede innanzitutto come elemento di fratturazione funzionale a indebolire gli alleati”.
È sulla base di questo raid, in cui sono stati uccisi alti funzionari militari iraniani mentre si trovavano in un’area teoricamente immune come quella diplomatica, che la Repubblica islamica pensa a una (quasi certa) rappresaglia. Che sarà probabilmente misurata e controllata, perché l’Iran ha necessità di agire (per ragioni interne ed esterne), ma probabilmente – per interessi strategici – non ha intenzione di farsi coinvolgere in un conflitto su larga scala. “E però – continua Dentice – Israele potrebbe anche aver scommesso sulla reazione alla rappresaglia, perché un’eventuale risposta iraniana più o meno calcolata, questo potrebbe contare poco, potrebbe costringere l’Occidente ad aumentare la difesa israeliana e il governo Netanyahu potrebbe pensare a un ampliamento come schema politico che punta a garantirsi nuova credibilità e deterrenza”.
Questa situazione ha dunque ragioni (e ripercussioni) interne, anche alla luce delle grandi proteste che sono tornate a infiammare le strade israeliane? “L’emergenza è stato il collante che ha tenuto in piedi Benjamin Netanyahu, garantendo la sopravvivenza della sua leadership: ora le voci di dissenso riguardano anche il gabinetto di guerra (la più esplicita quella di Benny Gantz, politico di opposizione entrato nel governo di unità nazionale dopo il 7 ottobre, che ora chiede elezioni anticipate a settembre, ndr) e una guerra contro l’Iran permetterebbe ulteriore sopravvivenza all’attuale governo, almeno fino alla fine del conflitto”
Per Dentice, è questo l’elemento più interessante dell’ultimo mese: “Un cambio di scenario tattico dell’approccio israeliano alla guerra, con Hamas che serve al piano interno (su cui pesa ancora il simbolo degli ostaggi trattenuti dall’organizzazione palestinese), mentre l’attenzione si sta ampliando al fronte con l’Iran. Una mossa molto ardita e pericolosa, perché se è vero avvantaggerebbe nei fatti la permanenza di Netanyahu al potere, è vero anche Israele rischierebbe di trovarsi scoperto su più fronti, sia militarmente, sia nei confronti dei rapporti generali con l’intera regione mediorientale”.
E quale sarà la reazione occidentale, se questo coinvolgimento dell’Iran dovesse avere effetti? “Sia gli Stati Uniti, che probabilmente anche l’Europa, non resteranno a guardare”, risponde Dentice. Perché? “Sarebbero chiaramente costretti a intervenire per proteggere l’alleato, e nel calcolo politico di Netanyahu questa convinzione c’è. Va detto che anche se queste traiettorie si stanno mostrando in modo manifesto, potrebbero ancora essere controllabili: e dovrebbero esserlo, perché il loro sviluppo in un prossimo futuro sarebbe di non poco conto, aprendo a uno scenario terribilmente incontrollabile”.