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Ecco come la cinese Ganfeng consolida il controllo del litio in Mali

In un playbook ormai consolidato, l’azienda chimica cinese ha acquisito quasi tutti gli interessi su un progetto estrattivo nel Paese africano da una società autraliana. Una mossa che rafforza ulteriormente gli asset minerari della Cina

Al di là della retorica occidentale sulla necessità di diversificare gli approvvigionamenti di materie prime critiche per la transizione energetica, Pechino continua a tessere la sua strategia, ormai decennale, di penetrazione nei Paesi ricchi di risorse. E lo fa, ancora una volta, attraverso la sua punta di diamante: Ganfeng Lithium.

L’azienda chimica cinese, che deteneva circa il 21% della capacità di produzione di idrossido di litio (un componente fondamentale per la manifattura dei catodi delle batterie elettriche) nel 2022, ha siglato un accordo con la società mineraria australiana Leo Lithium per acquisire il rimanente 40% di quote azionarie su una miniera in Mali, per la cifra di $342 milioni. La compagnia ha inoltre siglato un memorandum of understanding per liquidare tutte le questioni relative alle concessioni minerarie con il governo locale, per una cifra di $60 milioni.

Con il nuovo codice minerario, che prevede di aumentare le quote di partecipazione sui progetti minerari dal 20 fino al 35%, lo Stato – in uno sviluppo simile che coinvolge un’altra società cinese, Tianqi, in Cile – ha così indotto la società quotata a cercare una soluzione per placare le preoccupazioni dei suoi investitori per lo sviluppo del progetto di Goulamina (che prevede di produrre le prime tonnellate di spodumene, minerale roccioso da cui si estrae gran parte del litio a livello globale, soprattutto in Australia, nel terzo trimestre del 2024). Una via d’uscita che non si è fatto sfuggire Ganfeng, considerando la tradizionale reticenza delle società occidentali in questa tipologia di operazioni. Secondo l’indice sviluppato dal Fraser Institute, il Mali si classificava nel 2022, per l’attrattività degli investimenti minerari, al settimo posto per il continente africano e 44esimo a livello globale.

Il governo malese aveva inoltre introdotto lo scorso settembre un export ban per i minerali di litio al fine di incentivare la raffinazione locale, con l’obiettivo di catturare maggior valore aggiunto sulla scia di quanto realizzato dall’Indonesia per il solfato di nichel, altro materiale critico per la manifattura delle batterie, con cospicui investimenti delle industrie cinesi.

Leo Lithium Limited stava gestendo il progetto nel Paese africano in joint venture (50/50) con la stessa Ganfeng, la quale si era già assicurata le forniture a lungo termine per trasformare i minerali in idrossido di litio, nel suo impianto in costruzione nella provincia dello Jiangxi, con un investimento cash di $130 milioni per ottenere la metà delle equity nel 2021. Iniezioni di capitale sono seguite a settembre 2023 (5% delle quote, per $138 milioni) e a gennaio 2024 (altri 5% per $65 milioni), per un investimento totale che si aggira intorno ai $330 milioni.

Ora, con quasi il 100% delle quote (tenendo anche conto dell’ingresso dello Stato), la società cinese deterrà il controllo su un deposito che contiene circa 3,89 milioni di tonnellate di carbonato di litio equivalente. Si tratta di uno dei depositi più promettenti a livello globale, con un output previsto di circa 500.000 tonnellate annue di spodumene (Stage 1, sulle quali Ganfeng avrà totale diritto di compravendita per le sue attività di raffinazione in cambio dell’iniezione di capitale), eventualmente raddoppiabile nella seconda fase (70%). Secondo alcune stime, potrebbe rappresentare circa il 4% dell’offerta globale entro il 2030.

Localizzato nel sud del Mali, a pochi chilometri dalla città di Bougouini, il progetto ha sin da subito risentito delle difficoltà logistiche: senza un accesso rapido e sicuro alle aree portuali, i concentrati di spodumene devono essere trasportati attraverso la Costa d’Avorio fino al porto di San Pedro, a 934 chilometri, o il Senegal (Dakar) per raggiungere i mercati di consumo. Un aspetto che ha fin da subito innalzato i costi operativi per la realizzazione del progetto. Tuttavia, proprio grazie alla leadership di Ganfeng e alla qualità del deposito, il progetto si collocherebbe più o meno a metà della curva di costo secondo le stime di WoodMackenzie per i target di produzione fissati alla fine del decennio.

“Il board ritiene che la transazione sia in linea con la strategia dell’azienda di integrazione delle attività upstream e downstream e di ulteriore sviluppo del settore dei nuovi veicoli a nuova energia”, ha dichiarato Ganfeng in un documento inoltrato alla borsa di Hong Kong nella giornata di martedì, enfatizzando il rafforzamento del “controllo” su Mali Lithium (la JV che opera il deposito) e la competitività dell’azienda cinese. Grazie a questa mossa, la società cinese riuscirà ad aumentare la quota di auto-sufficienza per le materie prime da 40 al 70%, con un’inversione di tendenza sui margini di profitto erosi con il crollo dei prezzi del litio negli scorsi mesi (secondo gli analisti, destinati a scendere a $18,500/t nel corso dell’anno, dai $37,000 del 2023).

Come ha di recente rilevato un report dell’Iea, la Cina rappresenta il 60% del mercato dei veicoli elettrici (EV), con il dominio sulla produzione di batterie da parte di Catl e Byd con le quali Ganfeng ha rapporti di fornitura consolidati, oltre alla stessa Tesla. Ganfeng si è inoltre assicurata interessi in altri progetti e depositi in Sud America, in particolare in Argentina e Cile.

Il direttore di Leo Lithium, Simon Hay, ha dichiarato che la vendita delle quote societarie a Ganfeng sono nel miglior interesse dei suoi investitori, considerando i rischi associati alle operazioni di questo tipo in Mali, il nuovo codice minerario e la posizione finanziaria dell’azienda australiana. Si tratta di una posizione che riflette le pressioni del mercato, ma non di quelle geopolitiche: la vendita di un asset di questa portata ad un’azienda cinese che già controlla posizioni importanti nell’estrazione e raffinazione del litio rappresenta un ulteriore dimostrazione di come la strategia di de-risking dalla Cina sia molto più complicata e distante dalla realtà, e dalle dinamiche del settore, da quanto fino ad ora implementato dall’UE e in misura minore (ma con un approccio più pragmatico) dagli Usa. E che faccia capo, soprattutto, sulle imprese coinvolte nella catena del valore delle batterie.

È probabile che il tempismo dell’acquisizione sia anche in linea con la svalutazione della compagnia target con il trend al ribasso dei prezzi dell’oro bianco. Un playbook che, come dimostrato in altri casi, conferma la teoria di un controllo che le industrie cinesi esercitano all’intersezione tra il loro posizionamento strategico lungo la supply chain e la capacità/possibilità di iniettare capitali per acquisire gli asset più promettenti.

L’unico modo per provare a contrastare questo dominio è trovare un modo per il financial derisking degli investimenti nei Paesi ricchi di risorse. Un aspetto sottolineato anche da Amos Hochstein, consigliere per l’Energia e gli investimenti della Casa Bianca, che ha ricordato come il supporto a progetti in Paesi come Cile, Perù, Congo, Zambia – Paesi ricchi di materie prime per la transizione energetica come litio, rame e cobalto – debba bassare dal settore pubblico e attraverso istituzioni come la U.S. International Development Finance Corporation, Export-Import Bank degli Usa. Un attivismo diplomatico ed economico che al momento è tra le priorità della Minerals Security Partnership a guida statunitense ma che richiede risultati concreti.

 

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