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Con la Cina si negozia, ma fino a un certo punto. Il taccuino di Foreign Affairs per gli Usa

Inutile accanirsi sulle buone maniere, con Pechino bisogna tornare a fare la voce grossa su concorrenza, competitività e Intelligenza Artificiale. Perché la via della diplomazia a tutti i costi potrebbe essere un errore. Ecco cosa pensano Matt Pottinger e Mike Gallagher

Più che contenerlo, il Dragone andrebbe governato. Ai tempi delle sanzioni contro la Russia, dal retrogusto di nuova guerra commerciale all’alleata Cina (le accuse di concorrenza sleale mosse dall’Occidente contro Pechino, non solo limitate al campo delle auto elettriche, sono ormai all’ordine del giorno), non sono pochi gli analisti e gli economisti che sostengono un concetto. Con tutta la buona volontà del mondo, con la Cina si può negoziare fino a un certo punto: superata quella linea rossa, gli Stati Uniti debbono imporsi sulla seconda economia globale e il suo governo. Il quale, per sua storia e natura, non potrà mai entrare in sintonia con i valori e i canoni occidentali.

Tra chi crede che la linea morbida valga ma non a tutti i costi, ci sono gli esperti di Foreign Affairs, che in un report dal titolo “La competizione dell’America con la Cina deve essere vinta, non gestita” spiegano le ragioni di un cambio di approccio da parte dell’amministrazione americana (impegnata peraltro in una lotta senza quartiere contro il riciclaggio di stampo cinese), democratica o repubblicana che sia. “Il governo degli Stati Uniti ha rafforzato le alleanze in Asia, limitato l’accesso cinese alle tecnologie critiche degli Usa e sposato una linea bipartisan per la concorrenza. Eppure l’amministrazione stessa sta sprecando questi primi guadagni cadendo in una trappola: dare la priorità a un disgelo a breve termine con i leader cinesi a scapito di una vittoria a lungo termine sulla loro strategia malevola”, scrivono Matt Pottinger e Mike Gallagher. “La politica di Biden di gestire la concorrenza con Pechino rischia di enfatizzare i processi rispetto ai risultati, la stabilità bilaterale a scapito della sicurezza globale”.

Dunque “gli Stati Uniti non dovrebbero gestire la concorrenza con la Cina, dovrebbero vincerla. Pechino sta perseguendo una serie di iniziative globali volte a disintegrare l’Occidente e inaugurare un ordine antidemocratico. Sta sottoscrivendo dittature espansionistiche in Russia, Iran, Corea del Nord e Venezuela. Ha più che raddoppiato il suo arsenale nucleare dal 2020 e sta costruendo le sue forze convenzionali più velocemente di qualsiasi Paese dalla seconda guerra mondiale. Queste azioni dimostrano che la Cina non punta a uno stallo. E nemmeno l’America dovrebbe”.

Va bene, ma allora cosa fare? “Washington dovrà adottare la retorica e le politiche che potrebbero sembrare scomodamente conflittuali sul momento, ma in realtà sono necessarie per ristabilire i confini che Pechino e i suoi accoliti stanno violando. Ciò significa imporre costi al leader cinese Xi Jinping per la sua politica di promozione del caos globale. Significa parlare con franchezza sui modi in cui la Cina sta danneggiando gli interessi degli Stati Uniti. Significa aumentare rapidamente le capacità di difesa degli Stati Uniti per ottenere vantaggi qualitativi inequivocabili rispetto a Pechino. Significa tagliare l’accesso della Cina alla tecnologia occidentale e frustrare gli sforzi di Xi per convertire la ricchezza del suo Paese in potere militare. E significa perseguire una diplomazia intensiva con Pechino solo da una posizione di forza americana”.

Sia chiaro, “nessun Paese dovrebbe essere all’insegna di un’altra guerra fredda. Eppure una guerra fredda è già stata condotta contro gli Stati Uniti dai leader della Cina. Piuttosto che negare l’esistenza di questa lotta, Washington dovrebbe possederla e vincerla. Dichiarazioni ludiche che fingono come se non ci fosse una guerra fredda sono solo il sintomo di un autocompiacimento del popolo americano e dei leader cinesi. Come l’originale guerra fredda, la nuova guerra fredda non sarà vinta attraverso mezze misure o timida retorica. La vittoria richiede di ammettere apertamente che un regime totalitario che commette genocidio, alimenta il conflitto e minaccia la guerra non sarà mai un partner affidabile”.

D’altronde, si chiedono di i due esperti, cosa ha portato tanta benevolenza verso la Cina. “Cosa hanno ottenuto gli Stati Uniti in cambio di tutta questa diplomazia? Nel conto dell’amministrazione Biden, i benefici includevano la promessa di Pechino di riprendere i colloqui militari che Pechino aveva però sospeso unilateralmente, un nuovo dialogo sull’uso responsabile dell’Intelligenza Artificiale, tecnologia che Pechino sta già tuttavia armando contro il popolo americano diffondendo immagini false e altra propaganda sui social media. E persino la provvisoria cooperazione per arginare l’alluvione di sostanze chimiche precursori che alimentano la crisi dei fentanyl negli Stati Uniti”. Ma non è andata così.

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