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Così l’Iran corteggia l’uranio del Niger

Ci sono difficoltà logistiche e un lavoro statunitense per fornire alternative, ma i negoziati tra Niger e Iran sull’uranio procedono da mesi e potrebbero essere a buon punto, stando ai dettagli forniti da un sito francese piuttosto informato. Il rischio è alimentare il programma atomico iraniano e aprire spazi di influenza in Africa della Repubblica islamica

L’Iran sta trattando con la giunta giooitsta al potere in Niger sin dalla fine del 2023, anche se quest’attività è emersa nella cronaca mainstream solo poche settimane fa, quando è diventata tra i fattori di rottura della cooperazione tra Niamey e Washington. Teheran negozia con gli ufficiali nigerini un accordo per l’acquisto di 300 tonnellate di concentrato di uranio — che il Niger produce e che fino a poco tempo fa vendeva alla Francia, ma poi la giunta ha rotto anche con Parigi. In cambio del materiale nucleare, che gli iraniani utilizzeranno per portare avanti il loro programma atomico (uno dei grandi dossier in sospeso degli affari internazionali), a Niamey dovrebbero essere fornito equipaggiamento militare: sopratutto droni tattici e Manpad.

La notizia sulle trattative in corso da almeno sei mesi la fornisce Africa Intelligence, pubblicazione che ha buonissimo accesso alle informazioni dei servizi segreti di Parigi. Il potenziale scambio uranio per armamenti corrobora informazioni ottenute due settimane fa anche da Formiche.net. L’Iran ha capacità di esportare certi tipi di armi, le quali sono efficienti ed efficaci. Inoltre le ha già fornite ad attori ibridi (come le milizie sciite connesse ai Pasdaran, in diversi casi considerate entità terroristiche). In definitiva, non si pone gli scrupoli occidentali su certe vendite — ossia non richiede processi di vetting per gli usi che verranno fatti. La giunta nigerina ha scombussolato l’ordine democratico a Niamey salendo al potere per risolvere la piaga della sicurezza, ma non è detto che i militari golpisti usino quelle armi iraniane solo contro i gruppi armati (in molti casi jihadisti) e non contro le opposizioni e per reprimere/controllare le masse. Ma a Teheran questo non interessa.

Le 300 tonnellate di yellowcake nigerino che gli iraniani vorrebbero usare per i propri impianti provengono dalle miniere di Arlit, gestite dal 1970 dal gruppo francese Orano (ex Areva). In totale, attualmente sul posto si trovano quasi 700 tonnellate di concentrato di uranio, custodite dalle forze armate nigerine. Tuttavia, “i negoziati tra Teheran e Niamey hanno incontrato grossi ostacoli logistici per quanto riguarda il trasporto di una così grande quantità di uranio. Attualmente si stanno prendendo in considerazione diverse opzioni e Washington ritiene che il trasferimento via aerea sia la più probabile”, spiega il sito francese.

L’amministrazione Biden segue da vicino la situazione e Washington ha già affrontato l’argomento direttamente con Niamey — apparentemente senza grosso successo. In particolare, i diplomatici statunitensi hanno avvertito la giunta che se un simile accordo dovesse andare avanti, porterebbe inevitabilmente a sanzioni. Ma i nigerini sono preparati, stanno discutendo con l’Iran (Paese tra i più sanzionati al mondo) anche questo, e stanno approfondendo i link con Mosca e Pechino per trovare forme di differenziazione economica, commerciale e geopolitica.

Nel frattempo, le autorità statunitensi sono alla ricerca di un acquirente alternativo per le scorte di Arlit. Hanno già individuato un consorzio canadese che potrebbe essere interessato a fare un’offerta alla giunta, opponendo pragmatismo al pragmatismo. I proventi derivanti dalla vendita arriverebbero a quel sistema di governo non democratico che ha preso il potere a Niamey con la forza, ma meglio che l’uranio finisca in Canada che in Iran — sia per non alimentare il programma atomico degli ayatollah, sia per evitare di aiutare la costruzione di influenza in Africa pianificata da Teheran

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