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Viaggio a Kinmen, dove si convive con le esercitazioni cinesi

Dopo l’insediamento del presidente Lai, accusato di cercare l’indipendenza, questa settimana Pechino ha avviato due giorni di manovre militari per circondare Taiwan. Secondo l’analista Cole l’obiettivo è screditare il governo di Taipei e la democrazia per erodere consenso e raggiungere la cosiddetta “riunificazione”. Non siamo un’isola lontana, è l’appello del deputato Wang all’Europa. Non solo quelli militari, anche gli sforzi diplomatici sono importanti, dice Ou (Indsr). La “Porta d’oro”, che ha legami economici importanti con il continente. Ma i valori sono diversi, come ci spiega il professor Ma dell’Università locale. Reportage con foto esclusive

Kinmen (Taiwan). Due giorni, giovedì e venerdì, passati senza quasi accorgersi delle esercitazioni militari cinesi attorno nello Stretto di Taiwan. “Niente di nuovo”, dice Asheng, 50 anni (nella foto, con alle spalle una nave commerciale cinese). È la guida che ci accompagna durante il tour in barca in queste acque contese (clicca qui per sfogliare la gallery). Sembra abituato alla situazione.

È un confine labile, non soltanto geograficamente parlando, e per questo pericoloso: da una parte, può dare l’idea di attenzione costante e vigile; dall’altra, quella di una normalità che rischia di cambiare i destini di quest’isola.

Siamo a una manciata di chilometri da Xiamen, nella Repubblica popolare cinese, che rivendica la sovranità sull’isola. Ma il governo è quello della Repubblica di Cina (Taiwan), la cui costa più vicina dista quasi 200 chilometri.

Kinmen (o Jinmen, o ancora Quemoy) significa “Porta d’oro”. È il nome di un piccolo arcipelago di diverse isole orgogliosamente governate da Taiwan come raccontano i cartelli. Uno, sull’isola di Dadan ha, scritti a caratteri cubitali, i tre principi della Repubblica di Cina – del popolo, dal popolo, per il popolo – orientati verso la Repubblica popolare cinese che dista poche miglia.

L’arcipelago, grande poco meno del Liechtenstein, che si trova sul lato cinese di quella “linea di mezzo” che Pechino non riconosce più (da pochi anni dopo decenni di tacito accordo). Qui vivono poco meno di 130.000 persone. Si produce il Kaoliang, un liquore di sorgo che un po’ ricorda la vodka. Si coltiva, si pesca e si allevano animali. C’è anche molto turismo, soprattutto dalla Cina nonostante alcune diffidenze dei taiwanesi verso alcuni abitudini cinesi (tipo fumare in pubblico). E si importano anche molti beni, più dalla Cina continentale che dall’isola di Taiwan per via dei costi più bassi legati alle distanze.

Qui, girando per strada, spesso ci si sente più in Cina che in Taiwan. E infatti il partito più votato è tradizionalmente il Kuomintang, che però ha recentemente ceduto il passo al Partito popolare di Taiwan guidato da Ko Wen-je. Entrambi, così come il Partito democratico progressista del neopresidente “William” Lai Ching-te, credono nel mantenimento dello status quo. Il Kuomintang punta a ottenerlo attraverso il dialogo con la Cina. Lai, invece, sembra più deciso a non cedere alle pressioni di Pechino rispondendo colpo su colpo alle provocazioni. Più nebulosa è la proposta di Ko.

La spiega a Formiche.net Li Wen-liang.“Non vogliamo una guerra”, dice l’uomo di fiducia del sindaco Chen Fu-hai, esponente del Partito popolare taiwanese, che l’ha nominato suo numero due affidandogli, tra le altre, la delega agli affari nello Stretto. Definisce Kinmen “una piccola Taiwan”, intesa come l’isola di Formosa, considerate le tensioni regionali e internazionali. Parla di “dialogo e non conflittualità” per costruire “fiducia reciproca” tra Taiwan e la Cina. Quando lo incontriamo, nel secondo giorno delle esercitazioni cinesi, è appena tornato dalla Cina continentale. Ci spiega l’obiettivo principale della visita, che conferma la sua visione: organizzare una gara di nuoto “della pace”, da Xiamen a Lieyu, l’isola collegata a Kinmen da un ponte e che rientra sotto la stessa amministrazione. La sfida, di 7 chilometri, è prevista per luglio. È la stessa tratta che dovrebbe fare un ponte la cui costruzione è al centro dei molti confronti politici. Li è favorevole ma, ammette, è una questione politica molto complessa. Infatti, qualcuno teme che il collegamento Xiamen-Lieyu-Kinmen sia una strada in discesa per l’invasione cinese dell’isola.

La Cina è, da una parte, “molto abile ad alimentare tensioni” politiche e sociali con le sue esercitazioni da una parte; dall’altra, a lanciare charme offensive facendo leva su questi legami. A dirlo a Formiche.net è il professor Ma Hsiang-yu dell’Università nazionale di Quemoy. Ma “su identità e cultura ci sono molte differenze”, osserva. Il docente evidenzia due elementi. Primo: cultura politica e libertà d’espressione. Secondo: la proprietà privata. Fattori che, proprio alla luce degli stretti legami con la Cina, possono aiutare Taiwan a raccontare e valorizzare le diversità per consolidare la già forte volontà di non morire sotto Pechino e complicare i piani d’invasione, dice ancora il professor Ma.

A Kinmen ci sono 2.000 soldati, molti meno dei 75.000 presenti negli anni Cinquanta. È il risultato della nuova era dei conflitti, diventati sempre più hi-tech, che riduce l’importanza della quantità di soldati di stanza. È anche un ramoscello d’ulivo del governo taiwanese verso la Cina. Infine, è una contromisura al pericolo di lasciarli ostaggi in un’isola su cui si concentra l’attenzione di tutto il mondo, a partire dalle due superpotenze (Stati Uniti e Cina). Tanto che gli abitanti hanno spesso la sensazione di essere vittime di un contesto internazionale “tiepido” che parte proprio da queste acque “calde”. Qui c’è il quartier generale degli “uomini rana” del 101° Battaglione di ricognizione anfibia, gli scuba dell’esercito taiwanese (una cosa più unica che rara).

Ci sono anche, come dichiarato dal governo taiwanese a marzo, alcuni “berretti verdi”, ovvero le forze speciali dell’esercito statunitense, come parte di scambi con Paesi amici. Quanti? Non c’è una cifra ufficiale. Una manciata, dicono. Vengono avvistati a volte all’aeroporto. Ma la notizia, che conferma la solidità del sostegno americano a Taiwan, impegno per il mantenimento dello status quo nello Stretto, è sufficiente a rappresentare un elemento di deterrenza rispetto ai piani di invasione – con la forza o con la coercizione – da parte di Pechino.

Chi vive e lavora in questa “isola fortificata” è rimasto tranquillo davanti alle esercitazioni militari cinesi ribattezzate da Pechino “Joint Sword 2024A”, suggerendo dunque che potrebbero essercene altre nel corso dell’anno. Il Comando militare ha dichiarato di non aver innalzato il livello di allerta, anche se l’esercito ha aumentato la vigilanza e il monitoraggio dei droni. I pescatori sono usciti in mare lo stesso. Piuttosto, a preoccuparli e a bloccarli per alcune ore è stato il maltempo. L’associazione locale della pesca ha chiesto agli equipaggi di non rimanere in porto e li ha invitati a segnalare qualsiasi movimento insolito di navi militari o civili cinesi trasmettendo poi le informazioni all’intelligence taiwanese.

A spiegare a Formiche.net perché questo piccolo arcipelago è così importante per i rapporti tra Repubblica popolare cinese e Repubblica di Cina (Taiwan) e più in generale per l’intera regione è J. Michael Cole, ex funzionario dell’intelligence canadese e oggi analista di politica e sicurezza a Taipei. “È un’area in cui c’è un impegno più stretto, più frequente, più vicino e più sostanziale con la Cina in termini di turismo, viaggi, investimenti e così via. Come le isole Matsu, svolge anche un ruolo importante nella difesa di Taiwan. Ed è un banco di prova per i tentativi della Cina di assorbire gradualmente pezzi di Taiwan. Se la Cina riuscisse a favorire l’elezione a Kinmen di un politico più favorevole a Pechino e disposto a non ascoltare il governo di Taipei, allora potrebbe certamente indebolire la presenza militare anche in quelle aree”. La Cina potrebbe, dunque, voler dare l’esempio, con Kinmen o le isole Matsu, per convincere anche i taiwanesi a compiere scelte simili, spiega ancora Cole.

La storia racconta la centralità di Kinmen. Nel 1949, verso la fine della Guerra civile cinese, la neonata Repubblica popolare cinese aveva tentato di conquistare l’arcipelago. Ma il fallimento degli uomini agli ordini di Mao Tse-tung a Kinmen lasciò l’arcipelago nelle mani del Kuomintang, stroncando le possibilità di Pechino di conquistare Taiwan dove si era rifugiato, con i suoi nazionalisti, Chiang Kai-shek. E quest’ultimo ha sempre coltivato il sogno di riprendersi la Cina continentale utilizzando proprio Kinmen come trampolino di lancio. L’isola è poi stata teatro di numerosi bombardamenti tra le forze comuniste e quelle nazionaliste durante la prima e la seconda crisi dello Stretto di Taiwan negli anni Cinquanta.

Ma c’è anche un aneddoto più recente: nel 2022, le difese taiwanesi a Kinmen hanno abbattuto un drone civile non identificato a seguito di una visita, molto criticata dalla Repubblica popolare cinese, a Taipei di Nancy Pelosi, allora speaker della Camera degli Stati Uniti. I droni e altre incursioni seguono lo schema di quelle che vengono definite azioni da “zona grigia”, ovvero misure coercitive che non rientrano in veri e propri atti di guerra, e che si sono intensificate dopo l’elezione di Tsai Ing-wen a presidente di Taiwan nel 2016 e in seguito al deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina a partire dal 2018.

“Dopo gli anni della Guerra Fredda, le isole Kinmen e Matsu si sono trasformate da bastioni ad avamposti e hanno fornito esclusivamente intelligence, sorveglianza e ricognizione per allerta precoce e consapevolezza situazionale”, spiega Ou Si-fu, analista dell’Institute for National Defense and Security Research, think tank affiliato al ministero della Difesa nazionale, a Formiche.net.

Oggi chi guida Taiwan non ha le ambizioni di Chiang Kai-shek. Al contrario, il Partito comunista cinese continua a puntare a una “riunificazione” di quella che considera una provincia ribelle (anche se mai la Repubblica popolare cinese ha governato in Taiwan). Il leader cinese Xi Jinping ha ordinato all’Esercito popolare di liberazione di essere pronto a invadere entro il 2027. Ma essere pronti a invadere non significa invadere, anche perché l’ultima volta che Pechino ha combattuto una guerra è stato nel 1979, in Vietnam, e la situazione è molto diversa. Un’altra scadenza potrebbe essere il 2049, in occasione dei primi cento anni della Repubblica popolare cinese in vista della quale il Partito comunista cinese punta a un “ringiovanimento nazionale”.

Per conquistare Taiwan, Pechino potrebbe puntare sulla guerra nella cosiddetta “zona grigia” e alla dottrina “Three Warfare”, che si ispira a “L’arte della guerra” di Sun Tzu, in particolare per l’idea di vincere una guerra senza sparare un colpo: guerra psicologica di logoramento contro militari e civili avversari; guerra mediatica per influenzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale al fine di dissuadere interventi; guerra legale per minare le istituzioni internazionali e cambiare i confini.

“Mi aspetto che, soprattutto quando il tempo sarà più clemente, assisteremo a una maggiore attività dell’Esercito popolare di liberazione nello Stretto di Taiwan e nello spazio aereo di Taiwan”, dice Cole sottolineando la centralità di Kinmen in questo contesto. La Cina “si avvicinerà sempre di più alle acque territoriali di Taiwan, non solo per dimostrare al popolo cinese che il Partito comunista cinese è forte e intransigente su Taiwan, ma anche per rafforzare l’idea tra la popolazione di Taiwan che il suo governo è incapace di difendere la propria sovranità. Assisteremo ad altra guerriglia politica per cercare, tramite la disinformazione, la guerra cognitiva e altro, di dividere la società taiwanese, indebolire le istituzioni democratiche che danno forza a Taiwan ed erodere la fiducia dei taiwanesi nell’efficienza della democrazia”, aggiunge l’esperto.

A Pechino servirebbe un pretesto per attaccare militarmente. Un’ipotesi è quella di Kinmen o Matsu come la “Crimea asiatica”, con operazioni false-flag come gli “omini verdi” schierati dalla Russia in Ucraina nel 2014 per giustificare un’invasione poi diventata annessione (riconosciuta come illegale dalle Nazioni Unite) della Crimea. Un’altra ipotesi è quella dell’incidente politico per giustificare quella che l’Esercito popolare di liberazione definisce “la prima guerra” che “è la guerra finale”. Ecco perché “è più probabile che l’Esercito popolare di liberazione tenti di conquistare Taiwan direttamente che tramite le isole, in quanto ciò allungherebbe i tempi della campagna cinese e porterebbe verosimilmente un intervento interno”, dice Ou. Inoltre, potrebbe spingere l’isola di Taiwan a dichiararsi indipendente.

La ricerca di un incidente politico per invadere Taiwan sarebbe in linea con la crescita delle sue ambizioni e del senso di frustrazione per la sua posizione internazionale per quello che considera un contenimento della sua ascesa militare ed economica. In questo senso, “non c’è dubbio che a Pechino non piaccia Lai”, il nuovo presidente taiwanese, “lo hanno ripetutamente accusato di essere un indipendentista, spiega Cole. “A prescindere da ciò che dice in termini di volontà di migliorare le relazioni con la Cina e di impegnarsi in un dialogo, dubito che la porta sarà aperta”. Ci troviamo davanti a “una Cina sempre più aggressiva, che potrebbe usare la presidenza Lai come giustificazione per il suo comportamento”, aggiunge ancora l’esperto.

La strategia di Taiwan per scongiurare un’invasione è piuttosto semplice, a parole: consolidare le proprie difese e rafforzare gli scambi di vario tipo con i Paesi che condividono valori democratici e liberali per consolidare il sostegno internazionale. In questo senso, “qualsiasi tipo” di sostegno esterno, che sia militare o diplomatico per quanto possibile, è “apprezzato”, dice Wang Ting-yu, membro del Partito democratico progressista (che ha la maggioranza relativa), presidente della commissione Affari esteri e difesa nazionale dello Yuan legislativo (il Parlamento monocamerale di Taipei), a Formiche.net. Quando parla di Xi, lo definisce “un imperatore”. La Cina “non ha abbastanza uomini per vincere una guerra anfibia. Un’invasione è destinata a fallire senza un blocco dello Stretto di Taiwan”.

È questo lo scenario più temuto dall’intelligence taiwanese e paventato da Ou. Le esercitazioni cinesi di questa settimana, durate due giorni, erano attese come reazione all’insediamento di Lai.

Ma per Taipei è necessario non indietreggiare per non lasciare che emerga un’aria di “inevitabilità” nella regione e nel mondo sul destino cinese di Taiwan: “Abbiamo inviato forze marittime, aeree e terrestri per rispondere, per difendere la libertà, la democrazia e la sovranità della Repubblica di Cina”, ha comunicato il governo. Ma serve anche rimanere vigili, per evitare incidenti, come quello del 14 febbraio in cui hanno perso la vita due pescatori cinesi in fuga dalla guardia costiera taiwanese – un caso che Pechino sta da allora utilizzando come pretesto per normalizzare i pattugliamenti della sua guardia costiera in quelle acque.

La reazione taiwanese all’incidente, cioè l’aumento dei pattugliamenti, è stato “positivo” per i pescatori di Kinmen, dice Chen Shui-yi, 76 anni, da uno, dopo 60 passati sulle imbarcazioni da pesca, direttore generale dell’associazione dei pescatori di Kinmen. Non sembra preoccupato dalle esercitazioni cinesi anche perché, spiega, c’è un importante condivisione di informazioni. “L’associazione è un ponte tra i pescatori e le autorità taiwanesi” in questo senso, “scambiando informazioni in entrambe le direzioni”.

In ogni caso, lo schieramento di assetti navali da parte delle potenze europee – Italia compresa – è un esempio di sostegno importante per difendere le acque internazionali e dunque la libertà di navigazione” che Pechino minaccia attaccando così l’economia mondiale, aggiunge il deputato Wang. Egli sottolinea l’interconnessione tra Euro-Atlantico e Indo-Pacifico, avvertendo l’Europa che “Taiwan non è un’isola remota, siamo molto vicini”. Basti pensare al suo ruolo fondamentale nell’industria globale dei semiconduttori. E sugli scambi con la Nato, in particolare con il Nato Defense College di Roma, “posso dire che sono soltanto la punta dell’iceberg”, chiosa. Sono anche attività di questo tipo o impegni diplomatici su questioni specifiche – come sulla risoluzione 2758 delle Nazioni Unite, che Pechino cerca da tempo di distorcere per far credere che il Palazzo di Vetro abbia determinato che Taiwan sia parte della Repubblica popolare cinese – che possono essere “molto utili” da parte dei Paesi europei, sostiene Ou.

 

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