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Perché la maggioranza italiana non è realizzabile in Europa. Parla Reho

Il prossimo Parlamento europeo sarà molto frastagliato e la maggioranza molto meno organica rispetto a quella attuale. Un eventuale avvicinamento tra Ecr e Id potrebbe compromettere i rapporti tra la famiglia politica conservatrice e quella popolare. Non è proponibile la maggioranza che c’è in Italia a Bruxelles perché il Ppe non lavora con forze anti-sistema. Escludere i socialisti? Improbabile. Conversazione con Federico Ottavio Reho, coordinatore della ricerca del Wilfried Martens Centre for European Studies di Bruxelles

La prospettiva del Ppe sui movimenti in corso alla sua destra resta invariata. I popolari sono rimasti saldi sulla loro linea. In base ai sondaggi, dopo il voto dell’8 e 9 giugno le tre tradizionali forze europeiste – socialisti e liberali, oltre ai popolari evidentemente – complessivamente controlleranno meno seggi rispetto al passato, soprattutto a causa delle perdite previste per i liberali (il Ppe invece potrebbe addirittura guadagnare qualche seggio). Avranno quindi bisogno di altre componenti per raggiungere una maggioranza solida ed eleggere la nuova Commissione. Ed è qui che si aprirà la vera partita. I Verdi in passato sono stati inaffidabili e comunque perderanno molti seggi, mentre i conservatori di Ecr cresceranno e potrebbero offrire maggiore affidabilità. A dirlo nella sua intervista a Formiche.net è Federico Ottavio Reho, coordinatore della ricerca del Wilfried Martens Centre for European Studies di Bruxelles.

C’è più di uno che sta già pregustando un’alleanza tra Ppe e Ecr. Ci sono le condizioni per questo asse, realisticamente?

Mi sembra che questo discorso sia ancora prematuro, se non altro perché bisognerà capire – risultati elettorali alla mano – se Ecr o parte di esso sarà interessato a entrare veramente nei meccanismi di governance europei oppure no.

Il Ppe avrà, stando alle stime, almeno 180 deputati. Alla luce della scissione tra Id e AfD, cos’è cambiato nel rapporto con il Rassemblement National francese?

Dalla prospettiva del Ppe nulla. Mi pare che sia Weber che Tajani siano stati molto chiari su questo punto. Non ci può essere alcuna alleanza con chi, sui fondamentali – sostegno all’Ucraina, alla Nato, all’integrazione europea e allo stato di diritto – ha ancora posizioni diametralmente opposte a quelle dei popolari.

Pare che Id ed Ecr stiano lavorando per costruire un terreno di intesa. Come la vede?

Penso che un’eventuale convergenza di questo tipo potrebbe complicare i rapporti anche tra Ppe ed Ecr, perché metterebbe insieme forze conservatrici con cui si potrebbe lavorare e forze più radicali verso cui c’è maggiore preclusione. Ad ogni modo penso che il prossimo Parlamento europeo sarà molto frastagliato. E le maggioranze di conseguenza più fragili e mutevoli a seconda dei dossier. Mi aspetto che ci possano essere di volta in volta degli accordi parlamentari sui singoli temi, alleanze strutturali le vedo più complesse.

Costruire il modello di maggioranza che c’è in Italia a Bruxelles la considera un’ipotesi realistica?

A meno di incredibili sconvolgimenti alle urne tenderei ad escluderlo. Ma, oltre che per un fattore numerico, per un dato politico: con le forze politiche che hanno posizioni anti sistema il Ppe tradizionalmente non lavora. Esiste una linea di confine che non è valicabile, almeno finora non lo è stata.

Sondaggi alla mano, potrebbe configurarsi lo scenario in cui il blocco socialista sarebbe escluso dalla maggioranza? Secondo i sondaggi il Pse dovrebbe avere una pattuglia di circa 130-140 deputati.

Anche in questo caso dovremmo aspettare le elezioni per esprimere una posizione chiara. Questa ipotesi – una maggioranza Popolari, liberali, conservatori – sulla carta sarebbe anche possibile, a seconda di quanti deputati riusciranno a eleggere i liberali. A ogni modo, anche se si riuscisse a ottenere una maggioranza, sarebbe solo sulla carta. Non avrebbe alcuno spazio di manovra.

E perché mai?

Anche se formalmente bastano 361 deputati per avere la maggioranza, per avere un minimo di garanzia ne occorrono almeno quattrocento. Questo perché è raro che le delegazioni votino sempre in maniera compatta. Anzi, direi che c’è una percentuale fisiologica di almeno il 10-15% che vota in dissenso.



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