A oltre trent’anni dalla fine del comunismo e dall’avvio delle grandi privatizzazioni degli anni Novanta, Mosca rivuole improvvisamente indietro le industrie, promuovendo finte cause contro quegli industriali in odore di fronda e riappropriandosi delle azioni
In Russia sta tornando di moda l’esproprio proletario ai danni delle imprese. Attenzione, non solo sul versante occidentale, come rappresaglia contro le sanzioni, bensì anche su quello domestico. Mosca, in buona sostanza, mentre il G7 prova a compattarsi sulla monetizzazione degli asset sequestrati all’ex Urss, tentando di mettersi in scia a quanto fatto dall’Europa, vuole fare terra bruciata intorno alle banche, alle aziende, anche proprie. Come? Togliendo agli imprenditori quello che gli appartiene.
Una reazione rabbiosa che emerge in modo eloquente da un recente rapporto del Kennan Institute, uno dei più prestigiosi centri studi americani focalizzati sull’Eurasia. “Oltre alla guerra contro l’Ucraina, la Russia sta portando avanti un’altra operazione speciale”, è l’incipit dell’analisi. “In queste settimane, l’ufficio del procuratore generale russo è impegnato a togliere agli imprenditori le loro proprietà e a ridistribuirle attraverso procedimenti giudiziari coatti, citando violazioni avvenute presumibilmente durante il processo di privatizzazione decenni fa”. In altre parole, dal Cremlino è partito l’ordine di ripescare fantomatiche violazioni, avvenute durante l’apertura del mercato ai privati (operazione che diede vita alla figura dell’oligarca), per giustificare un attacco alle imprese nazionali, quelle almeno controllate da azionisti non pubblici.
“Il numero di tali cause legali sta crescendo in modo esponenziale. Gli uomini d’affari che si sono espressi contro la guerra o che hanno lasciato la Russia perdendo così la loro posizione tra le élite fedeli si trovano ad affrontare una possibilità molto reale di perdere i loro beni. Coloro che cercano di prendere le distanze dalla guerra e dalle politiche aggressive della Russia perdono la capacità di difendere i propri possedimenti. I potenti lealisti stanno cogliendo al volo questa opportunità e fanno sì che le forze dell’ordine e le macchine amministrative russe lavorino a loro favore”.
E che ci sia stata un’accelerazione verso una neo-sovietizzazione dell’economia, lo dicono i numeri. “Fino al 2020, i casi in cui il procuratore generale si rivolgeva al tribunale per correggere le irregolarità della privatizzazione e procedere con gli espropri, erano rari. Tre di queste cause sono state intentate nel 2020 e altre tre nel 2021. L’inizio della guerra ha aperto il vaso di Pandora: nel 2022 sono state intentate sei cause, nel 2023 ne sono stati fatte quaranta. In totale, in questi quaranta casi sono state aggredite 180 aziende, con un valore complessivo superiore a 1 trilione di rubli (11 miliardi di dollari)”.
Tra i casi più eclatanti, c’è la controversia sulla privatizzazione dell’impresa Kuchuksulfat, attiva nel trattamento del sodio. Nel 2021, l’accusa ha raccontato come nel 1991 i dipendenti dell’azienda che avevano rilevato l’impresa dopo il crollo del comunismo, avevano commesso violazioni poiché le autorità locali avevano condotto la privatizzazione di concerto coi lavoratori, mentre il proprietario dell’impresa, ovvero la nascente Federazione Russa, non aveva preso ancora alcuna decisione sulla medesima vendita. Morale, le azioni sono state tutte recuperate senza alcuna spesa e restituite al governo.
Una deriva industriale ancor prima che politica che non è certo passata inosservata. Nel settembre 2023, Alexander Shokhin, il capo, fedele al Cremlino, dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori, ha espresso pubblicamente insoddisfazione, per queste aggressioni in massa. Salvo poi cambiare improvvisamente posizione il giorno dopo.