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Sugli asset russi l’Europa scatta mentre Yellen prova a blindare il G7

Janet Yellen

Tra due giorni la riunione sul Lago Maggiore dei ministri delle Finanze, che potrebbe spianare la strada a un accordo finale per lo smobilizzo dei beni russi, a giugno nel summit di Borgo Egnazia, in scia a quanto già deciso dall’Europa. Per questo il segretario al Tesoro americano è giunto a Francoforte, da dove ha tentato di serrare i ranghi tra i Grandi della Terra. Anche nel contrasto all’avanzata cinese sulle auto elettriche

Se davvero il G7 è pronto a mettere le mani sugli asset russi, lo si capirà tra due giorni, quando a Stresa si riuniranno i ministri delle Finanze, sotto la guida di Giancarlo Giorgetti e Fabio Panetta. Se dal summit sul Lago Maggiore arriverà un accordo di massima, la strada per un’intesa strutturale a Borgo Egnazia, tre settimane dopo, sarà spianata. Ed è esattamente quello che vuole Janet Yellen, il segretario al Tesoro americano, giunta in queste ore a Francoforte per un incontro con alcuni banchieri presso la Frankfurt School of Finance and Management, prima di recarsi a Stresa per prendere parte al G7 delle Finanze.

L’obiettivo degli Stati Uniti è chiaro, spingere i Grandi della Terra verso un’intesa che possa permettere l’uso, immediato, dei quasi 300 miliardi (190 solo in Europa) di asset russi detenuti all’estero, per girarne i proventi, sotto forma di interessi, all’Ucraina. L’Europa, da parte sua, ha già sminato il terreno, trovando l’accordo in seno alle sue diplomazie. Proprio in queste ore il Consiglio Ue ha approvato formalmente la proposta di utilizzare i rendimenti straordinari prodotti dagli dagli asset congelati alla Russia, per sostenere l’autodifesa e la ricostruzione dell’Ucraina, a seguito dell’invasione russa. La proposta prevede che i rendimenti straordinari siano destinati per il 90% circa all’assistenza militare all’Ucraina e per il 10% alla ricostruzione del Paese. Questa chiave di distribuzione sarà rivista ed eventualmente modificata annualmente, per la prima volta entro il primo gennaio 2025 Ma manca, appunto, il G7. E così, da Francoforte, sede della Bce, Yellen ha dato la spallata.

Chiedendo ai Grandi della Terra e agli Stati Uniti di restare uniti contro l’aggressione russa e il “sostegno iraniano al terrorismo” e auspicando la ricerca di una via per sbloccare il valore dei beni sovrani russi congelati per aiutare l’Ucraina. Yellen, si legge negli estratti del suo discorso sull’alleanza transatlantica tenuto in Germania, ha rivendicato come il sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa all’Ucraina è stato essenziale per la resistenza dell’Ucraina all’invasione russa. “Lasciatemi essere chiara: è anche fondamentale per la sicurezza del popolo americano ed europeo dimostrare che la Russia non può sopravvivere alla loro determinazione a difendere un ordine basato sulle regole”, ha attaccato il numero no del Tesoro statunitense.

“Ecco perché credo che sia vitale e urgente trovare collettivamente il modo per sbloccare il valore delle attività sovrane russe immobilizzate nelle nostre giurisdizioni a beneficio dell’Ucraina. Questo sarà un argomento chiave durante gli incontri del G7 di questa settimana (a Stresa, ndr). Certo, l’Occidente è fin troppo consapevole delle inevitabili ritorsioni che Mosca potrebbe scatenare contro la finanza europea e americana, qualora la smobilitazione degli asset prendesse davvero corpo e vita (qui l’intervista all’economista e storico Giulio Sapelli). I casi di Unicredit e Deutsche Bank stanno lì a dimostrarlo. Ma per Washington è tempo di non farsi sopraffare dalla paura.

La questione russa non sarà però l’unico argomento di discussione a Stresa. Anche la minimum tax, l’imposta globale sulle grandi aziende, va definita del tutto, almeno per quanto concerne il primo pilastro, che disciplina la redistribuzione dei profitti delle multinazionali in base al luogo in cui i consumatori si trovano. Ma c’è chi ha fatto sua la proposta brasiliana al G20 per un tassa sui miliardari. Ed è qui che il governo americano ha detto decisamente no. Appena sbarcata dall’aereo che l’ha portata a Francoforte, Yellen ha infatti detto che gli Stati Uniti non intendono partecipare ai colloqui su questa iniziativa.

“Crediamo nella tassazione progressiva. Ma l’idea di un accordo globale comune per tassare i miliardari con i proventi ridistribuiti in qualche modo non ci vede favorevoli, neppure a un processo per cercare di raggiungere questo obiettivo. Questo è qualcosa a cui non possiamo aderire”. Il messaggio è chiaro. Attenzione, non è tutto. Anche la Cina e il suo assalto al mercato dell’auto elettrica occidentale è finito al centro delle considerazioni di Yellen.

Come? Invitando l’Europa a unirsi agli Stati uniti nel respingere l’eccesso di capacità industriale della Cina, avvertendo che un’ondata di esportazioni cinesi a basso costo rischia di invadere i mercati creando una minaccia inedita per l’economia globale. “La politica industriale della Cina può sembrare remota mentre siamo seduti qui in questa stanza, ma se non rispondiamo in modo strategico e unito, la redditività delle imprese sia nei nostri paesi che in tutto il mondo potrebbe essere a rischio”.

D’altronde, la sovraccapacità è una preoccupazione forte dell’amministrazione Biden, che nelle ultime settimane ha preso iniziative senza precedenti per contenerla. In particolare, ha deciso un deciso aumento dei dazi nei confronti di merci cinesi importate, che arriveranno al 100% per gli autoveicoli elettrico. Ma gli Usa sperano anche di creare un fronte unito con l’Europa, per innalzare barriere commerciali isolando la Cina rispetto ai due principali mercati globali, quello americano e quello europeo. La Commissione europea, dal canto suo, ha aperto un’istruttoria per indagare l’impatto degli aiuti di stato sul settore delle auto elettriche e dei pannelli solari.

Yellen ha sottolineato martedì che gli Stati Uniti non cercano di attuare una politica contro la Cina, ma ha sottolineato come sia la politica cinese a rappresentare una minaccia per l’economia globale, che richiede una risposta coordinata. Anche perché Pechino, con la sua sovraccapacità, rischia di “impedire ai paesi di tutto il mondo, compresi i mercati emergenti, di costruire le industrie che potrebbero alimentare la loro crescita”. Pechino, dal canto suo, ha respinto le accuse statunitensi, accusando Washington di usare la scusa della sovraccapacità produttiva come una scusa per il suo protezionismo commerciale.

 


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