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Carichi di droni. Così la Cina potrebbe sostenere lo sforzo bellico russo

Secondo alcune indiscrezioni, la Repubblica Popolare starebbe lavorando a un drone kamikaze destinato ad essere prodotto per l’invio in Ucraina. In una mossa che rappresenterebbe una rottura rispetto al passato, poiché Pechino si è sempre mantenuta il più possibile neutrale rispetto al conflitto

Sviluppato e prodotto nella Repubblica Popolare Cinese, ma utilizzato dalle forze armate della Federazione Russa. La “partnership senza limiti” suggellata ufficialmente tra Pechino e Mosca all’inizio del 2022 sembra aver infranto un altro limite, quello della cooperazione militare. Secondo quanto dichiarato alla testata statunitense Bloomberg da funzionari europei informati dei fatti, nel 2023 alcune aziende cinesi, in collaborazione con delle controparti russe, avrebbero iniziato a sviluppare una nuova loitering munition simile all’iraniana Shahed-136, destinata a rifornire gli arsenali del Cremlino, che all’interno del conflitto in Ucraina sta facendo ampio uso di questo tipo di equipaggiamento; questo “drone kamikaze” (nome comunemente usato per indicare le loitering munitions) sarebbe già entrato nella fase di testing, e presto potrebbe iniziare ad essere prodotto in serie ed inviato in Russia. I funzionari europei non sono entrati nel dettaglio riguardo al macchinario in sé, ma diverse fonti all’interno della galassia mediatica della Difesa di Pechino hanno riferito che il Paese sta sviluppando un drone d’attacco kamikaze, simile nell’aspetto allo Shahed 136, noto con il nome di Sunflower 200. Poche settimane fa, l’oramai ex-Ministro della Difesa britannico Grant Shapps aveva ventilato la possibilità di una cooperazione tra Pechino e Mosca nello sviluppo di materiale bellico destinato al teatro ucraino.

Fino ad ora, nonostante la sua dichiarata vicinanza alla Federazione Russa, la Repubblica Popolare Cinese si era astenuta dal fornire materiale militare letale al Paese partner (pur rifornendo Mosca di equipaggiamenti di carattere dual-use o comunque non letali, oltre che di singole componenti che poi vengono utilizzate nell’assemblaggio di materiale bellico) per paura di eventuali sanzioni che il blocco occidentale potrebbe imporre, le quali rappresenterebbero un ostacolo non da poco per la crescita del sistema economico cinese. Ma anche per mantenersi in una posizione diplomaticamente più favorevole, dalla quale Pechino può prendere a picconate la posizione dei Paesi rivali, e in particolare degli Stati Uniti. Esemplare a questo proposito è il commento sulla questione dei droni rilasciato da Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese negli Stati Uniti, secondo cui la Repubblica Popolare non fornisce armi alle parti coinvolte nel conflitto in Ucraina, aggiungendo che “Sulla crisi ucraina, è chiaro alla comunità internazionale chi chiede il dialogo e si batte per la pace e chi invece alimenta la lotta e incita al confronto. Esortiamo i Paesi interessati a smettere immediatamente di alimentare la lotta e di incitare al confronto”.

Posizione totalmente opposta a quella dell’ambasciatrice statunitense presso la Nato Julianne Smith, secondo cui “La Cina fa ogni sforzo e ogni occasione per sostenere che in qualche modo è un attore neutrale in questa guerra in Ucraina, ma in realtà la Repubblica Popolare sta fornendo una lunga lista di componenti a doppio uso, come macchine utensili e microelettronica, che consentono alla Russia di portare avanti questa guerra di aggressione in Ucraina. Qui, all’interno della Nato, stiamo facendo in modo di esporre il fatto che la Repubblica Popolare Cinese non è più un attore neutrale e di avvertire la Cina del rischio di appoggiare la Russia in questa guerra di aggressione non provocata”.

Sulla questione si è espresso, in modo molto cauto e seguendo un approccio diplomatico, anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Non abbiamo prove sicure al 100% che le armi cinesi vengano spedite alla Russia. Il leader cinese mi ha detto che non lo farà. Alcuni componenti sono spediti, probabilmente per i droni. Alcune armi a doppio uso sono probabilmente spedite. Ma non sono solo cinesi. Purtroppo vengono spediti anche da alcuni Paesi europei. E questo si può combattere. Penso che se il leader cinese volesse che questo non accadesse, non accadrebbe”.

Sin dal 2022 la Russia ha fatto ampio ricorso ai “droni kamikaze”, sia di produzione domestica (come il modello Kub-Bla sviluppato dalla celeberrima azienda Kalashnikov) che di manifattura estera, e in particolare iraniana. Proprio con questo Paese il Cremlino ha raggiunto un accordo per l’apertura di siti di produzione su licenza di queste armi in territorio russo, così da ingrandire il proprio arsenale.



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