Il Consiglio europeo ha adottato un regolamento ad hoc secondo cui l’intera regione dei Balcani occidentali disporrà del medesimo regime di visti degli altri, cassando in questo modo l’esclusione applicata in precedenza a chi aveva passaporto serbo rilasciato dalla direzione di coordinamento della Serbia
Il via libera europeo all’esenzione del visto per i serbi in Kosovo ha l’obiettivo di provare a compiere un passo verso una nuova distensione nella crisi tra Pristina e Belgrado. Innanzitutto consentirà ad alcuni cittadini kosovari di poter viaggiare in regime di Schengen e Ue anche con il passaporto serbo. In secondo luogo si punta finalmente ad armonizzare il dossier visti per tutta la regione balcanica, favorendo così la minoranza etnica nel nord del Paese che non avrà più bisogno di un passaporto kosovaro per viaggiare.
Facilità di circolazione
Il Consiglio europeo andato in scena ieri a Bruxelles, tra le altre cose ha puntato la sua attenzione sul caso kosovaro: l’Ue ha infatti adottato un regolamento ad hoc secondo cui l’intera regione dei Balcani occidentali disporrà del medesimo regime di visti degli altri, cassando in questo modo l’esclusione applicata in precedenza a chi aveva passaporto serbo rilasciato dalla direzione di coordinamento della Serbia.
Lo status quo in vigore fino a ieri era attivo dal 2009, quando i possessori di passaporti serbi erano stati esentati dall’obbligo di visto per spostarsi in area Schengen. La mossa però non è completamente esente dalle polemiche, dal momento che il Kosovo potrebbe dover gestire una situazione ancora sui generis, dove ad una fetta dei residenti in territorio kosovaro non serviranno più passaporti rilasciati dalle autorità centrali di Pristina, ma potranno ancora fare riferimento a Belgrado. Le conseguenze? Continuare a dubitare della sovranità nazionale in una fase caratterizzata dalle tensioni, non ancora sopite tramite gli accordi di Ocrida.
Tensioni e (mancati) accordi
La situazione tra Serbia e Kosovo sembrava poter giungere ad una svolta nel marzo dello scorso anno, quando le parti avevano trovato un punto di contatto con gli accordi di Ocrida. Si tratta di un paniere di impegni per attuare un processo di normalizzazione delle relazioni, propedeutico ad una fase burocratica specifica: ovvero attuare tutti gli articoli dell’accordo, compreso il numero quattro, che afferma che la Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale. Ma gli accordi naufragarono.
Da un lato il Kosovo aveva l’obbligo di iniziare immediatamente ad attuare l’accordo relativo alla formazione dell’Associazione dei comuni serbi (Zso). Dall’altro gestire il rifiuto del presidente serbo di firmare il documento “a causa di restrizioni costituzionali”. Più di un anno dopo però a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violente proteste, sfociate in un vera e propria guerriglia sedata dall’intervento della missione Kfor.
Al quadro già di per sé complesso, si somma il caso del ponte di Mitrovica, dove la riapertura al traffico sul fiume Ibar è diventata un casus belli che mette in contrapposizione le aree serbe e albanesi del Kosovo nella città kosovara, con l’aggiunta di tariffe per ridurre traffico e inquinamento.
Più collaborazione con l’Italia
Infine, un’iniziativa che rafforza il rapporto con Roma. Il Regional Command West (RC-W) a guida italiana in Kosovo ha promosso il Commanders Joint Security Meeting sulla sicurezza per cementare la collaborazione tra il personale di RC-W e della Polizia Kosovara, organizzato in collaborazione con i Comandi Regionali della Kosovo Police (KP) e della Kosovo Border and Boundary Police (KBBP), operanti nell’Area di Responsabilità italiana.
Al centro dell’evento obiettivi comuni da raggiungere e le modalità con cui proseguire nella cooperazione tra le Forze di Polizia locali e il contingente Nato: due aspetti su tutti, ovvero le attività di coordinamento e di condivisione delle informazioni.
@FDepalo