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Ora zero. Iran pronto per l’attacco contro Israele

In attesa dell’attacco iraniano, gli Usa lavorano per controllare gli effetti. Evitare danni allo Stato ebraico serve a evitare una spirale di eventi che potrebbe portare al conflitto regionale. Tajani riunisce il G7 per chiedere di evitare l’escalation, il russo Shoigu vola in Iran

“L’ora zero è arrivata”, dice una fonte diplomatica europea dal Medio Oriente. La rappresaglia con cui l’Iran colpirà Israele — responsabile del doppio, umiliante colpo contro il leader di Hezbollah Fuad Shukr e quello di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso al centro di Beirut e Teheran — sarà “dura, profonda, produrrà vittime e danni, e sarà articolata”, conferma la fonte che dà riservatamente informazioni di background. È molto probabile che i miliziani di Hezbollah e gli Houthi (e forse le milizie sciite connesse ai Pasdaran in Iraq) attaccheranno contemporaneamente agli iraniani — e sarà di sicuro il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, i cui componenti sono comunemente definiti “Pasdaran”, a coordinare l’offensiva.

Da oggi in poi, ogni momento potrebbe essere quello in cui il Medio Oriente rischia di precipitare in una spirale di conflitto regionale — e i Pasdaran hanno fatto sapere di esserne coscienti, ma non sarà questo a dissuaderli. Ci sono anche messaggi di postura, posizioni dovute per sostenere la narrazione e non sembrare deboli, come i pugili che si minacciano prima di un match. Ma la sensazione è che possano realmente saltare le regole che finora — da quando Hamas ha dichiarato guerra a Israele con l’attacco del 7 ottobre — hanno evitato il caos regionale.

Forse l’attacco non sarà proprio oggi, perché in queste ore arriva in Israele Michael Kurilla, capo del CentCom americano, e con lui una serie di assetti — tra cui caccia F22 Raptor e navi con sistemi Aegis, quelli in grado di aiutare lo scudo aereo israeliano a proteggersi dall’articolato attacco iraniano. Colpire Israele mentre l’alto ufficiale americano è a Gerusalemme sarebbe rischioso ed eccessivamente provocatorio. Kurilla aveva già pianificato il viaggio settimane fa, poi la doppia eliminazione israeliana ha fatto precipitare la situazione, ma il generale non ha rimandato la sua presenza.

Anzi, la sfrutterà per comprendere come coordinare la contro-reazione israeliana e prima, soprattutto, la difesa. Perché è tutto lì. Il governo di Benjamin Netanyahu non ha la capacità politica di assorbire un attacco iraniano che produce danni eccessivi. A quel punto si troverebbe costretto a reagire in modo ben più strutturato di quanto successo già il 13 aprile e si innescherebbe quella spirale che porterebbe rapidamente verso una guerra tra Israele e Iran.

Washington sa che si troverebbe a quel punto coinvolta, perché l’amministrazione Biden — di cui fa parte anche la contender democratica in pectore Kamala Harris — a sua volta non ha capacità politica per non difendere Israele. Tra tre mesi si vota, e un conto è criticare Netanyahu (detestato dai democratici) per come ha condotto la guerra nella Striscia di Gaza, producendo 40mila di cui molti civili innocenti, un altro è non aiutare in qualche modo lo Stato ebraico a difendersi da un nemico comune. Donald Trump, che è tornato nella dimensione fakenewser in chief, non chiederebbe di meglio per strumentalizzare un tale comportamento.

Per questo, il principale obiettivo americano non è tanto evitare che l’Iran attacchi Israele per rappresaglia — inevitabile ormai, a quanto pare — ma fare in modo che questo attacco sia contenibile, controllabile negli effetti (come tre mesi fa). Con la consapevolezza che attualmente all’interno della Repubblica islamica ci sono forze iper-reazionarie che potrebbero spingere per il caos, anche per mettere subito in difficoltà il neo-eletto presidente Massoud Pezeshkian, appartenente alle file dei riformatori. Allo stesso tempo, anche per Netanyahu l’espansione del conflitto potrebbe essere una forma di mantenimento del potere, viste le difficoltà che ha nel gestire le componenti ultra-radicali del suo governo. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, lo ha detto chiaramente: “La risposta sarà immediata e massiccia”. Siamo nel pieno del processo di antagonizzazione dell’Iran, dal quale come spiega Riccardo Alcaro (Iai), hanno tratto vantaggio i conservatori sia israeliani che iranaini.

Gli Stati Unti per questo stanno ancora cercando ogni strada possibile per evitare derive incontrollabili. Anche perché su tutto pesano le dozzine di ostaggi ancora in mano a Hamas, su cui il presidente Joe Biden si è speso personalmente lanciando un’iniziativa diplomatica passata anche da Roma, che i fatti dell’ultima settimana hanno sostanzialmente obliterato (anche se c’è chi sostiene riservatamente che resta una componente di Hamas disposta a trattare).

Ieri anche l’Italia si è unita a coloro che hanno chiesto ai propri cittadini di non recarsi in Libano e di lasciare il Paese se possibile — circostanza che ha prodotto un intasamento all’aeroporto di Beirut. Il ministro degli Esteri italiano, il vicepremier Antonio Tajani, ha anche riunito in forma emergenziale i colleghi del G7 durante la serata di ieri.

“Noi, ministri degli Esteri del G7 di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America e Alto rappresentante dell’Ue, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per l’accresciuto livello di tensione in Medio Oriente che minaccia di innescare un conflitto più ampio nella regione”, dice lo statement. “Esortiamo ancora una volta tutte le parti coinvolte ad astenersi dal perpetuare l’attuale ciclo distruttivo di violenza di rappresaglia, a ridurre le tensioni e a impegnarsi in modo costruttivo verso la de-escalation. Nessun paese o nazione guadagnerà da un’ulteriore escalation in Medio Oriente”.

Durante la stesura di questo articolo, Interfax annuncia che il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale russo, l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu, è a Teheran per incontrare il presidente Pezeshkian. È probabile che Mosca voglia avere contezza e in qualche modo rassicurazioni dirette sull’attacco (e in un faccia a faccia gli iraniani possono essere più franchi, anche evitando il rischio di essere ascoltati da operazioni di spionaggio). La Russia, come la Cina, in generale non ha interesse a un’escalation che possa produrre una guerra regionale, sebbene sfrutta il contesto di ingaggio a media intensità per i propri interessi e per indebolire quelli statunitensi ed europei.



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