La Repubblica Popolare fa pressione per portare tutti i membri del Consiglio di Sicurezza Onu ad adottare l’approccio del “no first use”. Dietro questo approccio ci sono motivazioni diplomatiche e (relative) debolezze militari
L’offensiva diplomatica (e non solo) di Pechino contro Washington passa dalla dimensione nucleare. All’interno di un gruppo di lavoro che si riunisce a Ginevra fino a venerdì per preparare una conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Tnp), la delegazione cinese ha presentato una bozza di testo per un trattato o una dichiarazione sul “No first use” nucleare da parte dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Nella sua proposta formale la Cina, che è l’unico attore del Consiglio di Sicurezza ad aver adottato spontaneamente una dottrina di “No first use” fino ad ora, ha affermato che tale politica sta “Diventando sempre più un importante consenso e una priorità” nel controllo internazionale degli armamenti. Pechino ha inoltre definito “gravi violazioni” del Tnp la protezione che gli Stati Uniti offrono agli alleati europei nell’ambito degli accordi di condivisione nucleare della Nato e agli alleati asiatici sotto il loro ombrello nucleare, chiedendo a Washington di interrompere questa condotta.
Parole che, sulla carta, segnalerebbero l’intenzione di voler ridurre l’importanza del fattore atomico all’interno dei calcoli strategici del sistema internazionale. I fatti sembrano però contraddire questa teoria. La Repubblica Popolare infatti sta espandendo il suo arsenale di testate nucleari e modernizzando i suoi vettori: secondo le stime del Pentagono l’arsenale cinese raggiungerà un livello superiore alle mille testate nucleari operative entro il 2030, il doppio del numero attuale e quattro volte quello stimato prima dell’inizio dell’accumulo circa sei anni fa; Pechino ha anche intrapreso un percorso di edificazione di silos missilistici, ed ha schierato un maggior numero di sottomarini in grado di trasportare testate nucleari, rafforzando così le proprie capacità di lanciare armi nucleari con breve preavviso, ma anche come attacco di rappresaglia ad un eventuale first strike avversario.
Secondo alcuni funzionari e analisti stranieri, queste mosse potrebbero trasformare il Paese in una potenza nucleare al pari di Stati Uniti e Russia. Un’evoluzione, questa, che potrebbe anche spingere Zhongnanhai a rivedere la propria posizione riguardo alla dottrina del “No first use”, adottata anche in funzione della manifesta inferiorità della Repubblica Popolare in questo campo.
Lyle Morris, senior fellow per il Center for China Analysis dell’Asia Society Policy Institute ed ex direttore nazionale per la Cina presso l’ufficio del segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha dichiarato che gli Stati Uniti “Non accetteranno mai” la proposta della Cina di non usare il nucleare per primo “a causa del suo desiderio di rispondere in modo flessibile alle minacce nucleari a Washington e ai nostri alleati. Dato il nostro esteso impegno nucleare nei confronti degli alleati, non ha senso politicamente che Washington faccia una tale concessione, soprattutto data la natura opaca dell’accumulo nucleare della Cina”.
Ma gli analisti ritengono che la spinta della Cina alla diplomazia nucleare vada oltre l’orizzonte limitato del Consiglio di Sicurezza, e che stia avendo un buon riscontro in molti Paesi al di fuori di esso. “È uno sforzo per acquistare un po’ fiducia da parte della comunità internazionale e, francamente, sta funzionando”, ha dichiarato David Santoro, presidente del Pacific Forum, un istituto di ricerca politica delle Hawaii e co-organizzatore di un dialogo non ufficiale USA-Cina sulla politica nucleare, La maggior parte dei Paesi è preoccupata per la Russia e la Corea del Nord. Ma si discute poco dell’espansione nucleare della Cina. Quindi stanno facendo molto bene: stanno costruendo il loro arsenale, ma non si scaldano per questo”.