Il fondatore di T-Commodity e consigliere del ministro della Difesa: “Non so quanto convenga al governo destinare delle risorse preziose per incentivare produttori cinesi a investire in un settore che, giorno dopo giorno, si sta rivelando essere stato una una scommessa persa, cioè quella dell’elettrico. La logica imporrebbe perlomeno un attimo di pazienza, io investirei risorse preziose in altri ambiti che possono dare un valore aggiunto certamente più ampio, come creare una filiera di aziende nel comparto della difesa, settore che genera realmente innovazione”
Doppia tappa italiana per Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, che dopo aver preso parte al Forum di dialogo imprenditoriale Italia-Cina tenutosi ad aprile a Verona, ha promosso una nuova visita a Roma: prima ha incontrato alla Farnesina il ministro degli esteri Antonio Tajani e poi Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy. Sul tavolo, tra le altre cose, la ricerca di un secondo produttore di auto in Italia: si era fatta largo infatti l’ipotesi di Dongfeng Motor, tra i principali big dell’industria cinese controllato al 100% dal governo che potrebbe insediarsi in Piemonte.
Qui Farnesina
Dopo il mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, si è svolto oggi il terzo incontro in un anno fra Tajani e la controparte cinese, a dimostrazione del fatto che le relazioni tra Italia e Cina “stanno attraversando un’importante fase di rilancio, con l’obiettivo condiviso di rafforzare e aggiornare il partenariato strategico globale Italia-Cina, che dal 2004 costituisce il quadro di riferimento per lo sviluppo dei nostri rapporti”, ha puntualizzato il vicepremier, che ha sottolineato la necessità di un accesso equo al mercato cinese e di una parità di condizioni per le aziende italiane.
Sono stati affrontati una serie di temi nevralgici, come la guerra in Ucraina, la crisi a Gaza e la situazione nel Mar Rosso, in attesa della prossima conferenza di pace sull’Ucraina. A breve verrà inaugurato inoltre anche il collegamento aereo diretto tra Venezia e Shanghai, operato dalla compagnia aerea “China Eastern Airlines”.
Interscambio commerciale e investimenti
Wentao è poi stato ospite del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel quadro del rilancio del Partenariato Strategico Globale Italia-Cina, con un focus particolare sul riequilibrio della bilancia commerciale e per rafforzare la cooperazione economica nei settori della tecnologia green e della mobilità elettrica. Secondo Urso la scelta italiana di aprire agli investimenti cinesi nel settore automotive prescinde dalla decisione europea sui dazi: “È infatti di oltre un anno fa e fa parte di una strategia di lungo respiro di politica industriale nel quadro del partenariato strategico globale Italia-Cina rinnovato nella visita del presidente del Consiglio a Pechino”, ha precisato il ministro.
Scenari e dubbi
Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e consigliere del ministro della Difesa, spiega a Formiche.net che l’obiettivo dei cinesi è quello di aggirare i dazi creando dei siti produttivi in Europa: “Si tratta di una mossa che riguarda anche altri settori come l’acciaio, si veda l’interesse che gruppi stranieri hanno per Taranto per l’Ilva. Dal 2026 entrerà in funzione un’ulteriore restrizione delle politiche climatiche che rendono le importazioni di acciaio extra-Ue non convenienti quindi creare una capacità produttiva dentro i confini dell’Unione europea è un must per un fornitore, in particolare asiatico. E’ lo stesso discorso per le auto elettriche”, aggiunge.
Ovvero, dal momento che l’Europa implementerà delle misure protezionistiche, secondo Torlizzi la Cina proverà a vedere chi offre le condizioni migliori per permettere loro di avviare capacità produttiva dentro l’Unione europea. “I cinesi già sono in trattativa avanzata con l’Ungheria e la Spagna, quindi non sorprende che lo facciano anche in Italia. Il tema secondo me è più ampio, nel senso che io personalmente non so quanto convenga al governo italiano destinare delle risorse preziose per incentivare produttori cinesi a investire in un settore che, giorno dopo giorno, si sta rivelando essere stato una una scommessa persa, cioè quella dell’elettrico”.
Un passaggio che si lega al tema Volkswagen. Da un lato, aggiunge, è certamente vero che bisogna fare in modo di tutelare l’occupazione e gli impianti, però è altrettanto vero che “finché non passa in Europa il concetto della neutralità tecnologica e quindi non viene scardinato il tema dell’elettrificazione nuda e cruda, a mio avviso impegnarsi nel settore dell’automotive rischia di essere uno sperpero di risorse pubbliche enormi, questo è il punto”.
Soluzioni e rischi
Quale la soluzione dunque? “Personalmente avrei messo in stand by questo genere di negoziazioni, fermo restando che la speranza, forse nutrita da alcuni, è quella di vincolare i produttori di auto elettriche cinesi alla componentistica italiana, un gioco che secondo me non ha molto senso perché uno dei motivi per cui i cinesi sono così forti nel comparto delle auto elettriche è perché hanno il controllo della filiera a monte, hanno il controllo innanzitutto delle materie prime e della produzione delle batterie elettriche. Quindi non ha nessun senso economico per loro acquistare dei prodotti italiani dal momento che già producono auto. Sarebbe una scommessa molto rischiosa che rischia di provocare delle delusioni, nel senso che mi aspetto che magari i cinesi all’inizio possano dare l’idea di coinvolgere qualche fornitore, ma appena vedranno che effettivamente il mercato non è quello che si aspettavano, avranno la giustificazione di dire ‘guardate che ci abbiamo provato, ma le forniture europee sono troppo onerose e quindi dobbiamo importare direttamente le auto le auto prodotte in Cina’. Questo è quello che avverrà a mio avviso”.
Nessuna rincorsa
E conclude: “Non capisco questa rincorsa affrettata ai cinesi affinché aprano dei siti produttivi in Italia: in questo momento c’è da capire come evolverà la situazione, al momento i segnali dal mercato sono pessimi. Su Volkswagen, ad esempio, non mi sentirei neanche più da escludere totalmente l’ipotesi di una nazionalizzazione: è una débacle quella del comparto dell’auto che richiederà risorse pubbliche enormi, quindi siccome noi già abbiamo riversato una dose non indifferente di sussidi in favore di Stellantis, non capisco adesso la fretta di rischiare di fare la stessa fine con un produttore cinese. Per cui la logica, ma ripeto questa è una mia idea personale, imporrebbe perlomeno un attimo di pazienza, io investirei risorse preziose in altri ambiti che possono dare un valore aggiunto certamente più ampio come il creare una filiera di aziende nel comparto della difesa, settore che genera realmente innovazione”.