Per Salesio Schiavi, “ci vorrà del tempo per capire se l’indebolimento progressivo di Hezbollah, insieme a un potenziale declino dell’influenza iraniana nella regione, possa ridisegnare gli equilibri di potere”. L’Iran reagirà? Come consumerà la sua vendetta la milizia che Nasrallah guidava? Cosa resterà dell’Asse della Resistenza? Le risposte dell’analista ed esperto di Medio Oriente
Il presidente iraniano, Massoud Pezeshkian, ha dovuto interrompere la fase di charme diplomacy messa in attuato durante la Unga per tornare a impersonare il ruolo dell’attore severo: “I crimini del regime israeliano non rimarranno senza risposta. I movimenti per la libertà non saranno distrutti assassinando le loro personalità e funzionari”, dice a proposito dell’uccisione di Hassan Nasrallah — morto per soffocamento dopo essere rimasto intrappolato nei corridoi del bunker nella suburbia di Beirut, dove un bombardamento israeliano ha scovato la leadership di Hezbollah.
Le milizie sciite collegate ai Pasdaran, quelli che Pezeshkian chiama “movimenti per la libertà” e che sono noti anche come “Asse della Resistenza”, sono nervose. Si attendono una risposta da Teheran per il colpo subito, che ha dimensioni strategico-esistenziali. La personalità di Nasrallah, dal 1992 guida spirituale di Hezbollah, è difficilmente sostituibile. Attorno alla sua predicazione ruotava parte della narrazione che ha permesso alle milizie create dai Pasdaran di approfondire la presenza strategica in Medio Oriente. Le sue parole, le sue promesse e le sue azioni hanno ispirato migliaia di giovani nel corso degli anni.
Hanno permesso di fare di Hezbollah uno stato nello stato, rendendola il centro dello sviluppo — e dell’inviluppo — del Libano contemporaneo. Hanno concesso all’Iran capacità di deterrenza, facendo delle Repubblica islamica una potenza glocal. Hanno prodotto un caso a elevata riproducibilità, come dimostra la forza acquisita dalle milizie sciite in Iraq o in Siria, le esperienze afghane e pakistane, i movimenti culturali in Bahrein, i tentativi in Africa e in qualche modo gli Houthi in Yemen — che ultimamente hanno aumentato la cooperazione con Hezbollah. Il bombardamento che ha ucciso Nasrallah rischia di spazzare via con un colpo tutto il costrutto. Israele ha mostrato che la mafia politico-ideologica del gruppo sciita poteva essere decapitata, facendo dell’Iran una potenza debole, mettendone in crisi il sistema di proiezione regionale. I Minions di Hezbollah che compongono il network miliziano dei Pasdaran, diventato perno della difesa avanzata dell’Iran, ora rischiano di essere indeboliti sia dall’assenza di un leader spirituale come Nasrallah, sia da quella di un comandante carismatico come lo era Qassem Soleimani, eliminato in un raid americano a gennaio 2020.
Nessun nemico di Israele può più sentirsi al sicuro, in nessun luogo del mondo, dal più protetto al più remoto, perché Israele ha dimostrato quello che un paio di mesi prima del 7 ottobre un funzionario del Mossad disse durante una riunione riservata, a cui chi scrive era stato invitato a partecipare a Roma: sappiamo tutto di quello che fanno i nostri nemici, non abbiamo paura di colpire nel momento in cui ne avremo la necessità. Se da un punto di vista strategico-militare e politico-culturale il colpo è riuscito, ora però c’è da valutare le reazioni e dunque gli effetti. Ossia: a che prezzo? I nemici dell’Iran hanno ricevuto un jab che ha prodotto l’effetto “bloody nose”. Ora la Repubblica islamica è con il naso gocciolante, destabilizzata, confusa: cerca energie per raccogliere lucidità, e dunque reagire in qualche modo.
Perché attendersi la reazione iraniana
Prima di chiedersi se e come, forse serve ragionare sul perché Teheran sia mossa a reagire oppure no. Secondo Francesco Salesio Schiavi, analista, esperto di Medio Oriente e attento studioso delle dinamiche attorno alle milizie sciite, eliminare il leader assoluto di Hezbollah, così come il suo intero establishment militare, ha sicuramente avuto un peso psicologico importante per il movimento, che però è destinato a sopravvivere, e probabilmente ha già un nuovo capo. “Per quanto riguarda la risposta iraniana, molti ritengono che Teheran non rischierà una guerra su vasta scala per salvare Hezbollah, mantenendo lo stesso atteggiamento dopo l’uccisione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran”.
Il re, quindi, non si sacrificherà per salvare l’alfiere? La questione è chiaramente più complessa. “La riluttanza iraniana a intervenire direttamente in difesa di Hezbollah è dovuta a principalmente a due fattori. Da un lato, il ventaglio di opzioni nelle mani di Teheran in un confronto con Israele è oggi più limitato che mai. Se Hezbollah è sempre stato il cardine principale su cui era impostata la dottrina di difesa avanzata iraniana, è sempre stato inteso come parte fondamentale della risposta di Teheran contro Israele e mai come suo catalizzatore. In una prospettiva tecnico-operativa, molti dei vettori offensivi (missili balistici e droni) iraniani non hanno le capacità di raggiungere Israele, e il suo arsenale di armi a lungo raggio, inteso soprattutto come deterrente, è comunque limitato (quindi non adatto ad un conflitto prolungato). A questo si aggiunge la difficoltà stessa di raggiungere potenziali obiettivi in territorio israeliano, come dimostrato dall’esito dell’attacco rappresentativo dello scorso aprile. Di fronte a un Hezbollah significativamente indebolito e al vuoto di potere riflesso sugli altri membri dell’Asse della Resistenza, Teheran non si considera quindi in grado di impegnarsi oggi in una guerra più ampia con Israele”.
Allo stesso tempo, le recenti mosse offensive di Israele – l’assassinio di comandanti iraniani in Siria, del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran, l’eliminazione di quasi tutti i comandanti di alto rango di Hezbollah e i continui attacchi in Libano – dimostrano il livello di profonda penetrazione dell’intelligence israeliana nei gangli dell’Asse a guida iraniana. “E impegnarsi in una qualsiasi azione militare diretta senza prima affrontare queste lacune interne alla sua sicurezza potrebbe avere conseguenze disastrose per l’Iran ed esporlo a rischi elevati, anche sul proprio suolo, aggravati dal sostegno statunitense a Israele, rendendo il conflitto ancora più rischioso per Teheran”.
Coll-asse?
La morte di Nasrallah produrrà un collasso di Hezbollah e dell’Asse? “Gruppi armati di questa portata e radicamento sono preparati a rimpiazzare rapidamente la loro leadership, come già accaduto in passato. E ogni volta che Israele decapita un’organizzazione nemica è sempre spuntata una nuova testa, quasi sempre più radicale della precedente. È successo ad Hamas, il cui potere politico e militare un tempo bicefalo è oggi nelle sole mani di Yahya Sinwar, massima espressione dei falchi e mente responsabile del massacro del 7 ottobre. E dopo un anno di guerra e pur molto più debole, Hamas è ancora a Gaza”.
In ambito libanese, è impensabile che un movimento strutturato e radicato come Hezbollah, con una leadership da tempo ricercata da alcuni dei sistemi d’intelligence più efficienti del mondo non fosse preparato a sostituire i propri vertici – sebbene forse non così rapidamente e a tutti i livelli. D’altronde, ricorda Salesio Schiavi, prima di Nasrallah, Hezbollah aveva un altro capo, Abbas al Musawi, assassinato dagli israeliani nel 1992. E già dal 2008, su indicazione dell’Iran, aveva un successore designato, Hashim Safi al Din, “noto per la sua vicinanza a Teheran e per essere considerato più spietato e meno pragmatico del suo predecessore”.
Anche se Hezbollah ha subito gravi perdite, l’organizzazione continua a mantenere una capacità militare rilevante? “Da quando è stato ucciso Nasrallah, Hezbollah ha aumentato di almeno una trentina di chilometri la profondità dei propri attacchi (intrapresi quasi esclusivamente con razzi, missili a corta gittata Fadi-1 e artiglieria) in territorio nemico, arrivando con facilità e frequenza nei pressi di Gerusalemme. È altrettanto improbabile che Hezbollah accetti di ritirarsi oltre il fiume Litani, come richiesto dalla risoluzione Onu 1701 del 2006, poiché ciò implicherebbe la perdita di un vantaggio strategico cruciale: tunnel, arsenali, postazioni fortificate e villaggi militarizzati, che costituiscono una rete difensiva e offensiva vitale”.
Invasione e altri scenari
Questo dimostra che una potenziale invasione terrestre israeliana potrebbe trasformarsi in un vero e proprio pantano, visto che Hezbollah ha accumulato una vasta esperienza nella guerra asimmetrica? “Durante l’occupazione israeliana del sud del Libano, il Partito di Dio, con meno risorse di oggi, riuscì a resistere per quasi due decenni, e sarà comunque in grado di sfruttare questa sua vasta esperienza per mobilitare una difesa robusta contro Israele in caso di un’incursione via terra. In un simile scenario, l’esperienza e le infrastrutture di Hezbollah nel sud gli permetterebbero di continuare a combattere a lungo: il che, di riflesso, significherebbe corrispettiva minaccia alla sicurezza per le aree settentrionali di Israele. Non si può escludere, infine, che il gruppo libanese risponda alla morte di Nasrallah come già accaduto per al Musawi, vendicato da un attacco contro l’ambasciata israeliana a Buenos Aires, in Argentina, che costò la vita a 29 persone”.
Tuttavia, va riconosciuto che la capacità di Hezbollah di agire oltre i confini libanesi è oggi notevolmente limitata e vincolata. “È vincolata – continua l’esperto – dalla volontà di evitare una guerra più ampia con Israele, da cui l’astensione all’impiego delle sue armi più pesanti. Ed è limitata perché qualsiasi operazione militare su larga scala richiederebbe un’ampia infrastruttura di comunicazione e un robusto comando centralizzato, entrambi fortemente indeboliti dalle recenti operazioni israeliane”.
Ci vorrà molto tempo, quindi, prima che il gruppo possa riconquistare parte della sua capacità, “e inoltre, diversamente dal dopo-guerra del 2006, risultato tutt’altro che scontato”. Per Salesio Schaivi, ci vorrà del tempo anche per capire se l’indebolimento progressivo di Hezbollah, insieme a un potenziale declino dell’influenza iraniana nella regione, possa ridisegnare gli equilibri di potere. Anche in Libano, dove il gruppo ha tradotto la sua forza militare in influenza politica, restando, di fatto, l’unico attore politico armato nel Paese, un fattore che continuerà a pesare sugli sviluppi futuri della Terra dei Cedri”.