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Sia Nato che Brics. L’ambiguità turca tra guerre e tensioni geopolitiche

Non sfugge che la contingenza internazionale delicatissima, con due guerre in corso e lontane da una soluzione, consiglierebbe di non sommare tensioni a un quadro già altamente complesso. Ma, complice la fine dell’era Erdogan e dal momento che non vi sono progressi nell’adesione turca all’Unione europea, ecco che la fase di avvicinamento all’alleanza dei mercati in via di sviluppo Brics è vista positivamente dai membri

“Non possiamo recidere i nostri legami con il mondo turco e musulmano solo perché siamo membri della Nato”. Anche se è alla sua ultima curva (politica), il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non intende smentire la propria tattica di giano bifronte: stupire e osare per ottenere il dividendo che ha in mente. In questa luce va vista la mossa che ha inteso fare aderendo al club Brics: dall’assemblea dell’Onu il presidente turco punta alla creazione di una struttura che inciderà anche sulle dinamiche regionali, ha affermato, sottolineando la posizione strategica del paese e le relazioni radicate con i Paesi di diverse regioni.

La tesi del sultano

Il ragionamento che, anche da New York, Erdogan ha fatto ai suoi interlocutori è che Ankara non può ignorare il fatto di avere legami con il continente europeo e le Americhe, così come con l’Asia centrale, la Russia, l’Estremo Oriente e i Paesi baltici, inoltre intrattiene “relazioni radicate” anche con i Paesi arabi e del Golfo, nonché con l’Africa. Ciò è dovuto alla posizione geografica e alla storia della Turchia. I governi che da 20 anni Erdogan guida si sono mossi in questa specifica direzione, ragion per cui il passo nella direzione della Brics è fisiologico, anche se non mancano dubbi e rischi nei tavoli occidentali e atlantici.

Tra pochi giorni in Russia si discuterà proprio della possibile adesione turca, in occasione del summit di Kazan, in programma dal 22 al 24 ottobre, con la possibilità che altri seguano l’esempio turco, come Malesia, Thailandia e Azerbaijan. Tra l’altro pochi giorni fa il presidente del parlamento turco ha incontrato il parigrado russo a cui ha rivolto l’auspicio che l’adesione ai Brics avvenga “il prima possibile”. Numan Kurtulmus durante la sua visita a Mosca ha inteso raccogliere il favore russo, che era molto probabile ma non completamente scontato.

Ankara chiama Mosca

Kurtulmus ha detto pubblicamente che l’adesione della Turchia ai Brics darà un “serio contributo alla pace nel mondo”, ed è proprio in questo contesto che proseguono le relazioni tra Ankara e Mosca, con l’obiettivo già annunciato di raggiungere un volume di scambi commerciali da 100 miliardi di dollari. Per questa ragione la Turchia non ha aderito alle sanzioni unilaterali imposte alla Russia. Secondo Kurtulmus “queste non sono sanzioni corrette in termini di relazioni internazionali basate su regole e che tali sanzioni unilaterali viste finora nel mondo non hanno mai prodotto risultati positivi”. E al contempo ha fatto due annunci: la centrale nucleare di Akkuyu (realizzata dalla russa Rosatom) inizierà a produrre energia nel 2025 e il gasdotto TurkStream è nell’interesse di entrambi i paesi e di quelli della regione.

Perché adesso?

Non sfugge che la contingenza internazionale delicatissima, con due guerre in corso e lontane da una soluzione, consiglierebbe di non sommare tensioni ad un quadro già altamente complesso, ma complice la fine dell’era Erdogan (il presidente ha già annunciato che quello in corso è il suo ultimo mandato) e dal momento che non vi sono progressi nell’adesione turca all’Unione Europea, ecco che la fase di avvicinamento all’alleanza dei mercati in via di sviluppo Brics è vista positivamente da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Un gruppo a cui si sono aggiunti da poco quattro nuovi membri di un certo peso, come Iran, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Egitto (mentre l’Arabia Saudita è stata invitata a unirsi).



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