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Che succede ai Balcani se la Russia avanza in Ucraina?

Non c’è solo la questione tra Pristina e Belgrado a preoccupare Bruxelles, bensì una serie di altri focolai su cui è facile che possa esserci l’intromissione di Cina e Russia in chiave anti europea. La Macedonia del Nord è particolarmente attenzionata da questo punto di vista perché qualcuno vorrebbe dirottare i fondi del Corridoio 8 verso altri lidi

L’allarme è stato lanciato dal premier kosovaro Albin Kurti: una Russia più forte e vincente in Ucraina darebbe coraggio alla Serbia, per cui non solo il Kosovo, ma anche la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro e forse la Macedonia del Nord sarebbero messi in pericolo da quelle che ha descritto come ambizioni espansionistiche serbe. Il raccordo geopolitico tra l’evoluzione della guerra a Kyiv e le proiezioni del Cremlino nel costone balcanico rappresenta un elemento da tenere in ampia considerazione, con la prospettiva di affiancarlo a quello rappresentato dalle politiche europee di allargamento, definite dal presidente del consiglio, Giorgia Meloni, “riunificazione balcanica”.

Kosovo e Serbia

La situazione attuale tra Kosovo e Serbia resta tesa e i colloqui di normalizzazione coadiuvati dall’Unione Europea non hanno prodotto progressi. Risale ad un anno fa lo scontro a fuoco tra uomini armati serbi mascherati e la polizia del Kosovo, in cui sono morte quattro persone e che ha nuovamente allontanato le parti da un dialogo risolutore. Per questa ragione sul confine tra i due Paesi è stato incrementato il volume delle forze di peacekeeping guidate dall’Alleanza atlantica.

L’ultimo colloquio si è tenuto meno di un mese fa, quando l’inviato dell’Unione europea per i Balcani occidentali Miroslav Lajčák da Pristina ha esortato il Kosovo e la Serbia a intensificare gli sforzi per normalizzare le relazioni, affermando che tale mossa sarebbe decisiva per l’adesione dei due Paesi al blocco.

La Serbia dal canto suo chiede il ritorno allo “status quo ante” nella crisi del Kosovo. Il governo di Belgrado è pronto ad una campagna diplomatica per tornare alle condizioni precedenti alla crisi, assieme ad una legge che fornisca protezione sociale ai serbi del Kosovo. Il leader serbo Aleksandar Vucic ha affermato che il suo paese non consentirà la chiusura delle istituzioni serbe nel Kosovo settentrionale e istituirà una procura speciale nella regione. Questo intero pacchetto di misure verrà presentato da Vucic a circa 60 leader, europei ed extraeuropei, in un evento ad hoc alla fine del mese di novembre.

Gli altri fronti

Ma non c’è solo la questione tra Pristina e Belgrado a preoccupare Bruxelles, bensì un serie di altri focolai su cui è facile che possa esserci l’intromissione di Cina e Russia in chiave anti europea.

La Macedonia del Nord è particolarmente attenzionata da questo punto di vista e gli ambasciatori europei pochi giorni fa non sono riusciti ad approvare l’apertura del prossimo capitolo dei colloqui di adesione di Skopje.

Il piccolo Paese verrà inoltre interessato da due infrastrutture di matrice europea: il Corridoio 8 che collegherà la costa adriatica italiana via mare all’Albania, per poi estendersi attraverso la Macedonia del Nord fino al porto di Varna sul Mar Nero e un collegamento ferroviario lungo il medesimo tratto. Fumo negli occhi per chi, come i cinesi della Via della Seta, premono ancora in quella direzione dopo gli accordi con alcuni paesi e le criticità riscontrate con altri, come il Montenegro.

Ma il Corridoio 8 è strategico perché accorcerà fisicamente la distanza dei Balcani occidentali, con il commercio dell’Ue. Sulla strada di questo progetto però non mancano fibrillazioni politiche, come quella innescata dal premier nordmacedone che accusa la Bulgaria. Hristijan Mickoski imputa a Sofia scarso impegno per la tratta ferroviaria sul suo territorio, affermando che la ferrovia finirà in un “vicolo cieco”, per questa ragione ha minacciato di dirottare i fondi verso un’altra tratta, quella tra Skopje e Belgrado. Un Paese, la Serbia, ideologicamente più vicino a Skopje.

Di contro, mentre tutti i Paesi balcanici hanno finora presentato a Bruxelles le loro bozze di programmi di riforma in chiave allargamento, la Bosnia-Erzegovina fa eccezione. Fino a pochi giorni prima di terminare il propro mandato, il commissario europeo all’allargamento Oliver Varhelyi, lo ha ripetuto: la Bosnia-Erzegovina deve soddisfare le condizioni stabilite dal Consiglio europeo se vorrà fare progressi verso l’adesione. Il riferimento è a riforme sulla giustizia per un serie di temi come l’ammodernamento dei tribunali, la protezione dei dati personali, il controllo delle frontiere, la libertà di stampa. Senza questi sforzi, inoltre, i denari del piano europeo (in tutto 6 miliardi) non potranno essere elargiti.

Pollice su, invece, per l’Albania che sta proseguendo sulla strada tracciata da Bruxelles. Pochi giorni fa si è recato nel Paese delle aquile il presidente del Comitato economico e sociale europeo Oliver Röpke che ha guidato una delegazione al Tirana Connectivity Forum 2024. La visita rientra nelle azioni europee per favorire il processo di integrazione nell’Ue. In quell’occasione Röpke ha ribadito l’importanza dei progressi compiuti dal governo di Edi Rama nella riforma giudiziaria, nella normativa anticorruzione e nella cooperazione regionale incorniciata nel Processo di Berlino.

(Foto: twitter prfofile of Miroslav Lajčák)



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