Approvato al Senato il decreto Omnibus che contiene disposizioni per il contrasto alla pirateria informatica. Lo spirito della norma è anche positivo, ma così come è formulata risulta del tutto inefficace. Il rischio è duplice: facilità di elusione delle norme e intasamento degli uffici giudiziari per via delle segnalazioni da parte dei soggetti coinvolti. Colloquio con Fabio Bassan, docente dell’università Roma Tre
Il punto chiave è sempre quello: “Chi paga?”. Si è già scatenato un poderoso dibattito attorno all’approvazione, da parte del Senato, del giro di vite contro la pirateria informatica. In sintesi, il dispositivo ora in discussione alla Camera compreso nel decreto Omnibus, prevede “specifici obblighi di segnalazione e di comunicazione – la cui violazione è sanzionata con la pena della reclusione fino a un anno – per i prestatori di servizi di accesso alla rete, i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, ivi inclusi i fornitori e gli intermediari di vpn o comunque di soluzioni tecniche che ostacolano l’identificazione dell’indirizzo Ip di origine, gli operatori di content delivery network, i fornitori di servizi di sicurezza internet e di Dns distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito, e gli hosting provider che agiscono come reverse proxy server per siti web”. Non solo. Viene data all’Agcom, la possibilità di ordinare ai prestatori di servizi di disabilitare l’accesso a contenuti diffusi in maniera illecita anche con provvedimenti cautelari in via d’urgenza. “Lo spirito della norma è anche positivo, ma così come è formulata risulta del tutto inefficace”. A commentare il provvedimento sulle colonne di Formiche.net è Fabio Bassan, docente dell’università di Roma Tre ed esperto di tecnologia.
Professore, cosa non la convince?
Senz’altro è una norma che si muove nello spirito del tempo. Rispetto al passato, infatti, la volontà è quella di agire sui provider del web e sanzionare laddove si registrino degli illeciti. Questo accade in Europa e non negli Stati Uniti dove ancora c’è una sostanziale deresponsabilizzazione. Il problema, però, sono sempre i costi.
Cosa intende dire?
Mi viene in mente il principio del “chi inquina paga” alla base della responsabilità ambientale. Un passo indietro. La pirateria informatica è un costo per chi produce i contenuti. La lotta alla pirateria è un altro costo. Sanzionare chi diventa strumento più o meno consapevole della pirateria è un mezzo ma non è la soluzione. E, comunque, resta sempre il problema di individuare chi paga.
Il testo prevede la possibilità che l’Agcom possa intervenire – anche in via molto rapida – per bloccare i siti in cui vengano riscontrati illeciti.
Sì, ma si tratta di provvedimenti facilmente eludibili. Bloccare un sito web significa confinarlo in un cloud inaccessibile. Ma, parallelamente, possono essere creati altre centinaia di siti più o meno uguali a quello bloccato. Fermo rimanendo che anche il cloud ha un costo enorme.
Dunque come uscire dall’impasse?
Questa norma sotto questo punto di vista non aiuta, nel senso che è molto vaga in particolare nell’aspetto applicativo. Il quadro per i soggetti coinvolti risulta piuttosto complesso: anche se mettono in campo tutti gli strumenti per evitare di essere oggetto di violazione, ma non ne segnalano una, sono passibili di sanzioni da parte dell’autorità giudiziaria.
In ordine alle segnalazioni all’autorità giudiziaria, è sorta più di una polemica. Il rischio, denunciano alcuni, è che vengano intasati gli uffici giudiziari senza arrivare all’obiettivo. Una paura fondata?
Sì, è fondata. Ed è fondata proprio per l’indeterminatezza della norma sotto il profilo applicativo. Non si può procedere a enunciazioni di principi, senza poi dare un risvolto pratico e operativo ai provvedimenti.