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Gli interessi attorno al gas che la guerra a Gaza nasconde

Le mire di Tshuva, l’accantonamento del gasdotto Eastmed, le nuove proposte di Chevron e le previsioni di Eni sul campo Cronos2 a Cipro: lo scontro in Medio Oriente ha di fatto messo in stand by la grande partita che si sta giocando sul gas. Un dossier che prevede il rischio di contrapposizioni accanto alle ambizioni dei Paesi coinvolti

Nello stesso “fazzoletto” geografico del Mediterraneo orientale dove si trovano le maggiori scoperte di gas degli ultimi decenni, si sta svolgendo una delle più cruente contrapposizioni alla voce medioriente. La guerra a Gaza, con gli sviluppi connessi nelle regioni limitrofe, ha infatti messo in secondo piano il dossier energetico che avrebbe potuto avere una evoluzione positiva, sia sui gasdotti che nelle alleanze. Il dibattito sul gasdotto Eastmed si è quindi interrotto, così come la possibile mini interconnessione tra Israele e Cipro. Tamar in Israele, Zohr in Egitto, Glauko e Cronos a Cipro: un punto su prospettive e progetti.

Qui Israele

La mancata de-escalation della guerra ha prodotto come risultato il disimpegno di Chevron che avrebbe dovuto effettuare una serie di lavori di ampliamento del giacimento di gas Leviathan: fino ad aprile del 2025 non ci saranno interventi ad appannaggio di un progetto che, in origine, era destinato ad aumentare la produzione per l’esportazione e l’approvvigionamento interno e per il quale erano già stati investiti più di 400 milioni. La produzione sarebbe aumentata fino a 21 miliardi di metri cubi, dagli attuali 12. Non solo mercato interno, la mossa avrebbe avuto dei vantaggi commerciali anche per incrementare le vendite ai Paesi limitrofi.

L’annuncio è stato fatto da NewMed Energy, nuovo nome della Delek Drilling, appartenente alla Delek Group di Yitzhak Tshuva, che detiene una quota del 45,3% di Leviathan che al momento resta una delle più grandi scoperte di gas al mondo, grazie a 22 trilioni di piedi cubi di gas. Chevron detiene il 49,66% nel giacimento assieme a Ratio Oil Corp con il 15%. Ma il player statunitense gestisce e detiene anche una quota del 25% nel giacimento di gas Tamar, anch’esso al largo della costa mediterranea di Israele.

Effetti a catena

Tamar nell’ottobre del 2023 era stato chiuso a causa dell’attacco terroristico a Israele, con una serie di effetti negativi per l’Egitto. Lo scorso giugno il giacimento è stato nuovamente chiuso per una attività di manutenzione di dieci giorni, provocando altri disservizi al Cairo che si è così rivolta ad altri soggetti (tra cui l’italiana Eni).

Certamente oggi l’Egitto produce più gas (nel 2023 67 miliardi di metri cubi) ma al contempo ha aumentato le sue importazioni proprio da Israele. Il sunto tra domanda e offerta in Egitto è diventato più precario, sia per la crescita del consumo interno sia per gli squilibri geopolitici presenti nell’area, al pari di una mancata decisione su come sfruttare il gas copioso che c’è nel Mediterraneo orientale. Inizialmente era stato pensato di costruire il gasdotto Eastmed tra Israele e la Puglia, passando per Cipro e Grecia, ma gli alti costi di realizzazione e la contrarietà della Turchia (che rivendica ancora diritti, senza l’appoggio di leggi o trattati, nella zona economica esclusiva cipriota) lo hanno accantonato.

Il ruolo di Tshuva

Non è un imprenditore qualsiasi il dominus di Delek: emigrato con la sua famiglia dalla Libia in Israele quando aveva solo sei mesi, Yitzhak Tshuva è azionista di maggioranza di Tshuva Group e Delek Group, e recentemente ha deciso di costruire nuovi alberghi in Israele nonostante la guerra, come quello in costruzione a Ir Yamim dicendo: “La nostra risposta a coloro che desiderano la nostra distruzione è continuare a crescere, creare e costruire”.

Tramite la controllata Ithaca, sei mesi fa ha siglato un accordo per acquisire tutti i giacimenti di petrolio e gas britannici di Eni per 938 milioni di dollari. Come parte dell’accordo, il gruppo energetico italiano unirà quasi tutti i suoi asset petroliferi e di gas con sede nel Regno Unito nel Mare del Nord in cambio di una quota del capitale azionario emesso ampliato di Ithaca, di proprietà all’89% di Delek. Quest’ultima resterà al 52,7% del capitale, Eni UK al 37,3% e il 10% dal pubblico.

Oltre al magnate (al 50,2%), in Delek group figurano player significativi del panorama mondiale: Norwegian Government Pension Fund, Deutsche Bank con lo 0,49% e sei società finanziarie statunitensi (Dimensional Holdings, Vanguard Group, BlackRock, Grantham Mayo van Otterloo & Co, The Charles Schwab Corporation, Empirical Finance). Ciò per significare la portata globale del soggetto in questione.

Qui Cipro

Nel blocco 6 della zee cipriota è stato scoperto il quarto giacimento di gas naturale dopo Glafkos, Zeus e Calypso. Si chiama Cronos 2 ed è collegato al bacino di Cronos 1: è gestito da Eni con una quota di partecipazione del 50 percento, mentre Total è partner alla pari. Si tratta, secondo il cane a sei zampe, di una scoperta promettente, che condivide caratteristiche con il giacimento di gas egiziano Zohr di ben 3.765 chilometri quadrati. Cronos 2 dovrebbe avere in pancia almeno 2,5 trilioni di piedi cubi.

Circa il giacimento Aphrodite, un mese fa NewMed (già gruppo Delek che è al 30% del giacimento) e i suoi partner Chevron e Shell hanno presentato al governo di Nicosia un piano da 4 miliardi di dollari per il giacimento al largo di Cipro: l’obiettivo è costruire una condotta sottomarina per connettere il campo a un impianto di lavorazione e produzione già esistente in Egitto. La nuova fase prevede che nasca un impianto di produzione galleggiante indipendente dotato di una capacità di produzione massima da 800 milioni di piedi cubi al giorno. Da lì in seguito il gas naturale verrebbe esportato tramite un gasdotto al sistema di trasmissione egiziano.

L’azione italiana

In questo quadro anche l’Italia ha ideato una strategia pragmatica che ha come perno sia Eni che un’azione infrastrutturale che sia innovativa e risolutiva sulla dorsale adriatica. L’allacciamento della nave a Piombino è fondamentale, al pari di un dialogo fruttuoso con soggetti di primaria rilevanza come Algeria, Azerbaijan e Libia. Come ribadito più volte da Giorgia Meloni, l’Italia intende portare avanti la visione strategica di un’Italia “che può essere un hub energetico d’Europa, un ponte nel Mediterraneo per il collegamento tra l’Africa e il vecchio continente”. Inoltre nel nuovo Pnrr ci sono 5,2 miliardi dedicati agli investimenti nelle reti e le infrastrutture, a partire da quelle energetiche strategiche.

Scenari

C’è però un ma. Due mesi fa Cipro (su cui permane il cono di interesse russo) si è opposta alle proposte di Chevron e potrebbe cercare altri partner, tra cui Il Cairo e Tel Aviv. Secondo Nicosia il colosso Usa non ha adempiuto ai suoi obblighi per tempo e ha offerto proposte insoddisfacenti negli ultimi mesi. Il rischio all’orizzonte è di un possibile arbitrato, ma con l’inconveniente di tempi burocratici lunghi. Nel frattempo Aphrodite è di fatto nel mirino di Israele con il già citato ruolo di Tshuva, che però andrà pesato con la politica regionale, fatta di interlocuzioni e/o disguidi con l’altro grande attore regionale che sul gas non intende fare passi indietro: la Turchia di Erdogan, già in rotta di collisione con Netanyahu e aperta ad una nuova fase di dialogo con la Grecia (su stimolo americano).


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