La Corte ha proceduto lungo due direttrici: la norma costituzionale che disciplina l’autonomia differenziata e le modalità per la determinazione dei Lep. Il legislatore dovrà correggere il tiro. Colloquio con il giurista Giovanni Guzzetta, componente del Comitato per i Livelli essenziali delle prestazioni (Clep) nominato dal ministro Calderoli
Dopo il pronunciamento della Consulta che – nei fatti – ha “contestato” sette punti della riforma, da sempre bandiera della Lega e in particolare del ministro Roberto Calderoli, lo scontro tra maggioranza e opposizione è feroce. Con accuse incrociate fra i vari leader, a partire da Matteo Salvini e dalla segretaria del Pd, Elly Schlein. Provando a riportare l’ambito del ragionamento al contenuto del pronunciamento della Consulta, Formiche.net ha interpellato Giovanni Guzzetta, ordinario di diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata e componente del Comitato per i Livelli essenziali delle prestazioni (Clep) nominato dal ministro Calderoli per l’individuazione dei Lep.
Professor Guzzetta, la Consulta ha dichiarato, in seno all’autonomia, l’incostituzionalità di sette norme. Sulla base di quali presupposti giuridici si incardina questo pronunciamento?
Stiamo commentando un comunicato stampa, è difficile in una materia così delicata e complessa essere precisi. Bisogna necessariamente restare su di un piano generale. Mi pare che la Corte abbia proceduto lungo due direttrici. La prima relativa alla definizione perimetro dell’art. 116, la norma costituzionale che disciplina l’autonomia differenziata. La seconda direttrice è quella relativa alle modalità per la determinazione dei Lep. Sul primo versante la Corte ci ha offerto, per la prima volta l’interpretazione di una norma costituzionale su cui si è tanto discusso, sostenendo da parte di alcuni addirittura che fosse “incostituzionale” per violazione dei principi intangibili dell’ordinamento costituzionale. La Consulta, da un lato, ha rigettato questa interpretazione e dall’altro ha precisato la portata della disposizione, chiarendo che ogni devoluzione di competenze amministrative e legislative non deve farsi per interi settori materiali, ma per singole funzioni. Peraltro, questo metodo è quello che già stiamo seguendo nel Clep (presieduto dal professor Cassese), analizzando all’interno della materie le singole funzioni a esse riconducibili. Inoltre, la Corte ha precisato che tale conferimento dell’autonomia deve avvenire valutando la situazione della regione, nel rispetto del principio di sussidiarietà e di efficienza per i cittadini.
A questo punto l’esecutivo dovrà preparare un disegno di legge che recepisca i rilievi della Consulta. A quel punto, la palla passerà al Parlamento. Ma non si rischia, così, di snaturare l’intero impianto della riforma?
Direi proprio di no. La questione per la Corte è di forme e di modalità per l’esercizio della delega. Vanno individuati principi direttivi più chiari e non si può ricorrere al Decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Il legislatore dovrà correggere il tiro. Per amore di onestà però va detto che in molti settori, sino ad oggi, i Lep sono stati individuati con Decreto e non con legge, penso ai Lea, livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria. Insomma, la correzione della Corte si applica a un’abitudine che esiste da molto tempo in questa materia.
La definizione dei Lep resta un nodo centrale per proseguire l’iter della riforma. Che esiti prevede?
La definizione dei Lep richiede un’attività istruttoria, che si sta facendo nel Clep e che può e deve continuare. Alla fine, dopo l’intervento anche di altri organi, tale attività istruttoria troverà sbocco in atti normativi. La legge impugnata già prevedeva che i Lep fossero definiti entro 24 mesi. In questo arco temporale c’è tutto il tempo di apportare le correzioni richieste dalla Corte e concludere il lavoro. Non dimentichiamo che i cittadini aspettano la definizione dei Lep da ventitré anni. E che quest’obbligo grava su chiunque sia il titolare della relativa funzione, Stato o regioni.
Si rafforza, con questi presupposti, la tesi che sorregge la proposta di referendum abrogativo o, al contrario, perde di mordente?
Senza conoscere la motivazione esatta e le disposizioni specificamente annullate è difficile dirlo .
Non si rischia, al di là del merito, che questo tipo di battaglia si trasformi in un terreno di scontro ideologico? Del resto le Regioni promotrici dei ricorsi sono tutte governate dal centrosinistra.
Mi pare che la questione sia da vent’anni oggetto di uno scontro ideologico, a volte, nelle varie legislature, anche con scambi delle parti.