Se davvero a partire da gennaio il nuovo presidente americano metterà a terra le sue politiche ultra-protezioniste annunciate in campagna elettorale, il Vecchio continente dovrà farsi trovare pronto a difendere le sue merci
L’Europa reggerà l’urto della trumpnomics, all’indomani della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa? A due mesi dall’insediamento (20 gennaio) del nuovo presidente degli Stati Uniti, è lecito cominciare a fare due calcoli. Perché non si può negare che una delle pietre angolari della politica economica di Trump sia proprio una stretta sulle tariffe doganali. E non è solo affare del Dragone, ma anche del Vecchio continente.
L’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, ha dato una lettura. “Se la prima versione di Trump ha rappresentato uno shock per la politica commerciale statunitense e non, la seconda versione si preannuncia ancora più protezionistica e dal sapore ottocentesco. Il motivo? Il sistema commerciale globale è accusato dal repubblicano di essere truccato. Trump ha proposto una politica tariffaria più aggressiva rispetto a quella messa in atto nel 2018-2019. Allora il presidente impose dazi su circa 380 miliardi di dollari di merci Usa importate di cui ben 350 miliardi di merci importate ai tempi dalla Cina. In misura minore vennero colpite soprattutto nel campo dell’acciaio e dell’alluminio anche l’Unione europea, intrecciandosi con lo storico contenzioso Boeing vs Airbus e il Giappone. Biden ha mantenuto i dazi anti-cinesi di Trump, mentre ha trovato una delicata tregua con gli alleati”, chiarisce l’Ispi.
E adesso? “Trump ora propone dazi universali del 60% da imporre su tutti i beni cinesi in modo da attuare il decoupling e del 10% o 20% su tutte le merci provenienti dal resto del mondo. Il tycoon ha persino minacciato di introdurre dazi del 100% sulle importazioni dai Paesi che stanno riducendo l’uso del dollaro e del 200% o più sui veicoli importati dal Messico. Se Trump riuscisse a portare avanti la sua agenda senza ostacoli, le iniziative sopracitate potrebbero aumentare le entrate per il governo federale e mitigare in parte l’enorme buco di bilancio che il suo programma economico genererà: le casse del Tesoro potrebbero raccogliere alle dogane ben oltre 2 mila miliardi di dollari nell’arco di dieci anni”.
È chiaro che questa politica tariffaria avrebbe conseguenze anche sull’economia globale. E non è certo un caso se l’Europa sia la prima a dover temere una nuova stretta commerciale. “Secondo le stime di Goldman Sachs, in caso di irrigidimento nelle relazioni con Washington dettato dalla politica commerciale di Trump, l’Eurozona subirebbe una riduzione di circa un punto percentuale del proprio Pil. Un colpo al Pil, peraltro potenzialmente sottovalutato, non proprio ideale, considerando la crescita debole e il ritardo di competitività che affliggono il Vecchio Continente e la stagnazione tedesca ben rappresentata dalla crisi del suo settore automotive. E chissà che questa volta Bruxelles non si dica davvero pronta a sfoderare sia la carota che il bastone con più determinazione e celerità”.