In Emilia-Romagna e in Umbria vince il centrosinistra. La disaffezione alla politica ha penalizzato entrambi gli schieramenti, ma i due partiti che risentono maggiormente del voto sono la Lega e il Movimento 5 Stelle. Il Pd ora è più forte, ma al contempo dovrà essere responsabile nelle alleanze. Il partito di Giorgia Meloni guadagna punti rispetto a cinque anni fa, ma ne perde rispetto alle Politiche. Colloquio con il politologo Piero Ignazi
Il risultato è netto e incontrovertibile. Il centrosinistra conquista l’Umbria, scardinando il governo regionale di centrodestra (con la governatrice uscente, Donatella Tesei) e conferma la sostanziale egemonia in Emilia-Romagna in cui stravince Michele de Pascale. Ma stiamo attenti a trarre facili conclusioni sulla possibilità di riproporre i modelli di alleanze sui territori, anche a livello nazionale. “Ogni territorio ha i suoi equilibri, ed è molto più facile costruire alleanze davvero larghe in Provincia, rispetto che a Roma”. Piero Ignazi, politologo di lungo corso dell’Università di Bologna pur salutando con favore l’esito elettorale che consegna due regioni importanti al centrodestra, nella sua analisi a Formiche.net, invita alla prudenza.
Professore, in Emilia-Romagna l’esito era del tutto prevedibile.
Del tutto non direi. Nel senso che, per quanto il centrosinistra partisse in vantaggio, l’effetto alluvione, le polemiche sui ristori e sulla gestione della calamità avrebbe potuto influire in maniera importante. Invece, se disaffezione c’è stata, ha penalizzato entrambi gli schieramenti.
Cos’hanno in comune le due vittorie?
Al di là dello schieramento prevalente, ben poco. Ci sono due fattori che tuttavia, a mio modo di vedere, hanno aiutato il centrosinistra in entrambi i territori. Il primo è l’assenza di polemiche fra i partiti che compongono la coalizione. E la seconda è la convinta adesione, sostanzialmente senza riserve, ai candidati governatori.
Mentre il Pd cresce di dieci punti in Emilia-Romagna, il Movimento 5 Stelle si è sostanzialmente liquefatto. Uno scenario prevedibile?
Sì, i pentastellati sono sempre più marginali anche all’interno della coalizione di centrosinsitra. D’altra parte mi sembra che si tratti di un processo irreversibile. È una storia, quella del Movimento 5 Stelle, destinata a concludersi. Un destino analogo a quello che, dall’altra parte della barricata, avrà la Lega.
Lei dice?
Ma certo. In termini di consenso è stata una disfatta, in particolare in Emilia-Romagna, ma anche in Umbria dove il Carroccio esprimeva la governatrice uscente. Di più. La Lega non solo ha ridimensionato drasticamente il suo peso elettorale, ma è anche diventata molto più vulnerabile nel Triveneto. Senza contare che, dopo il pronunciamento della Corte, le è stato sottratto anche il tema dell’Autonomia.
Forza Italia tiene, mentre Fratelli d’Italia – rispetto al 2020 – registra un aumento importante dei voti.
Era abbastanza fisiologico. Nel 2020 FdI era un partito del tutto residuale, adesso invece è la formazione politica attorno alla quale si può costruire la coalizione di governo del Paese. D’altra parte però, rispetto alle Politiche, perde comunque terreno.
Dice che sia presto, comunque, per cantare vittoria e dare per assodato il campo largo?
Certo. Queste sono per lo più dinamiche territoriali. Le alleanze a livello centrale sono decisamente più complesse e questa forza che ha acquisito il Pd è direttamente proporzionale alla responsabilità nel costruire le alleanze.
Come interpreta in queste consultazioni, ma soprattutto per il futuro, il ruolo dei centristi?
Sono sempre molto cauto circa la loro adesione al campo largo. Ma, probabilmente, hanno capito che il loro spazio politico è da quella parte. Il centrosinistra garantisce loro una buona agibilità politica. E, peraltro, l’avvicinamento dei centristi al Pd è reso molto più semplice dal forte ridimensionamento dei 5 Stelle con cui il rapporto è sempre stato complesso.