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Non c’è alternativa ai due Stati in Medio Oriente. Parla Craxi

Non c’è alternativa alla formula “due popoli-due Stati”, se davvero abbiamo a cuore la pace in Medio Oriente. Difficile, al momento, capire l’obiettivo di Putin nel lungo termine ma l’appoggio dell’Italia non può mancare. Conversazione con la presidente della Commissione Esteri/Difesa al Senato, Stefania Craxi

Africa, Medio Oriente, conflitto in Ucraina. Il bilancio del G7 Esteri presieduto dall’Italia è un insieme di priorità che guarda inevitabilmente anche alla dimensione europea. E, proprio nel giorno in cui il Parlamento ha dato il via libera alla Commissione, gli scenari globali impongono una grande assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni comunitarie. In particolare, la priorità, resta il dossier Difesa. “Ragionare sulla Difesa europea impone allora visione e responsabilità, ma il cuore della questione rimanda sempre al nodo della volontà politica. Intervenire sui grandi dossier internazionali parlando con una voce sola è propedeutico a tutto il resto”, dice a Formiche.net Stefania Craxi, presidente della Commissione Esteri/Difesa del Senato.

Senatrice Craxi, da quanto emerge sia dai Med Dialogues sia dal G7 esteri, l’Africa sempre di più acquista centralità nell’agenda politica di questo governo. In che modo verrà declinata questa attenzione?

L’Africa assume una rilevanza strategica globale, è una realtà centrale nei nostri destini e nei destini del pianeta. Ѐ il luogo di origine di molte problematiche che ci investono e ci riguardano: instabilità, conflitti, carestie, e di conseguenza flussi migratori incontrollati, come pure rischi crescenti di radicalizzazione, trovano in questo vasto continente che affaccia sul nostro stesso mare – il Mediterraneo – un terreno su cui prosperare. Basterebbe questa preliminare considerazione per renderci conto di quanto sia necessario, per la nostra stessa sicurezza, agire per determinare le condizioni che favoriscano la stabilità dell’intero quadrante. La nostra sfida è quella di dimostrare, con i fatti, la capacità di sostenere al meglio lo sviluppo di un grande continente amico, mutando approccio e ragionando non esclusivamente in termini securitari, ma anche e soprattutto guardando alle potenzialità che, se favorite, comporterebbero naturalmente benefici anche per l’Italia e per l’Europa nel suo complesso. In questo contesto si colloca il “Piano Mattei”, uno strumento utile a definire visioni in chiave sistemica, coinvolgendo una molteplicità di attori, di esperienze, di sensibilità, in un’osmosi progettuale che intende valorizzare il contributo della società civile e di quanti già operano per svariate ragioni – tanto economiche quanto sociali – nei contesti africani.

Che cosa emerge e quale ruolo può avere l’Italia nella questione mediorientale?

Partendo dagli ultimissimi sviluppi, l’Italia ha fornito un contributo determinante nell’ambito della presidenza del G7 per il cessate il fuoco in Libano, una tappa fondamentale per avvicinarsi alla pace nella regione. Ora bisogna intensificare gli sforzi anche su Gaza, per arrivare naturalmente ad una tregua che sia propedeutica alla stabilità, facendo leva sul necessario rilascio degli ostaggi israeliani e sulla piena operatività dei canali di aiuto umanitario alla popolazione palestinese stremata dal conflitto. Occorre guardare in prospettiva, fornire ossigeno ad una visione per il day after, che tenga insieme il sacrosanto diritto di Israele a vivere in sicurezza e quello del popolo palestinese ad avere una patria. Non mi sfugge la complessità della situazione, non mi sfugge il fatto che decenni di fallimenti negoziali abbiano alimentato tante incrostazioni estremistiche difficili da rimuovere. Ma non c’è alternativa alla formula “due popoli-due Stati”, se davvero abbiamo a cuore la pace in Medio Oriente.

Al di là del ribadire l’impegno nel sostegno all’Ucraina, che cosa è emerso in ordine al dossier sul conflitto?

Ѐ difficile capire se l’intensificazione dell’offensiva russa, soprattutto attraverso una pioggia di fuoco dal cielo che non ha precedenti in quasi tre anni di guerra, risponda all’esigenza di Putin di meglio posizionarsi a un eventuale tavolo di trattative in vista di un innesco negoziale dopo l’insediamento del presidente americano Trump, oppure se rappresenti il segnale di ingresso in una fase nuova, e purtroppo più cruenta, del conflitto. Lo stesso rafforzamento della cooperazione militare tra Mosca e Pyongyang alimenta le preoccupazioni che il Cremlino sia interessato solo alla capitolazione totale di Kyiv. Di fronte a questo scenario, il sostegno dell’Italia e del fronte occidentale, schierato in difesa della libertà, della salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, non può venire certamente meno.

Come le questioni trattate durante il G7 intercettano l’agenda politica della Commissione Europea?

L’Europa ha un grande ruolo da svolgere in questo contesto che vede il mutamento dei paradigmi e la ridefinizione degli equilibri globali, a meno di non volersi condannare a essere vaso di coccio tra vasi di ferro. Una prospettiva che assumerebbe concretezza qualora continuassimo ad accumulare ritardi nel fornire all’impianto comunitario una vera soggettività politica.

Quale prevede possa essere l’approccio migliore sul versante della difesa che a questo punto acquista un rilievo molto strategico sia per il nostro Paese sia per l’Unione Europea?

La necessità odierna è quella di ricomporre la cornice della sicurezza europea e internazionale, ma sappiamo che sarà molto difficile che ciò avvenga sulla base della collaborazione, ed è invece assai più realistico che si determini sul fondamento della deterrenza. Credo vi sia una diffusa consapevolezza: lo spirito dei tempi prevede che difendersi in armi non è più un’opzione remota, tutti siamo coinvolti in scenari turbolenti che fino a poco tempo fa sembravano impensabili anche agli analisti più spericolati. Ѐ pertanto necessario che anche le nostre missioni internazionali siano in grado di affrontare e gestire ancor meglio che in passato le evoluzioni che non smettono di susseguirsi in maniera rapida. Viviamo infatti una fase storica in cui il tempo della risposta è tanto importante quanto la risposta stessa. Ragionare sulla Difesa europea impone allora visione e responsabilità, ma il cuore della questione rimanda sempre al nodo della volontà politica. Intervenire sui grandi dossier internazionali parlando con una voce sola è propedeutico a tutto il resto.

All’orizzonte si profila un’elezione piuttosto dirimente per gli equilibri dell’Unione Europea, quella tedesca. Quale lo scenario auspicabile sotto questo profilo anche in termini di impatto sull’Ue?

Evito di addentrarmi nelle vicende altrui, ma è chiaro che la Germania è un Paese di importanza rilevante per i destini comunitari. In questo senso, non posso che sperare nella tenuta delle forze europeiste, perché uno scenario contrario rischierebbe di farsi detonatore di una crisi di più ampia portata.


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