L’astronauta, in un dialogo con il direttore di Formiche ed Airpress, Flavia Giacobbe, evidenzia come l’Europa rischi di essere esclusa dalla nuova corsa allo spazio, ostacolata da frammentazione strategica e dipendenza da partner esterni. Sottolineando come la competizione globale si giochi sull’innovazione e sull’autonomia tecnologica
Lo spazio non è più solo il teatro delle grandi esplorazioni scientifiche, ma una frontiera economica, industriale e strategica. Samantha Cristoforetti, astronauta dell’Agenzia spaziale europea (Esa), lo ha ribadito con forza durante un intervento al Centro studi americani, sottolineando come la nuova corsa allo spazio stia trasformando profondamente l’ecosistema globale. La questione cruciale per l’Europa? Non rimanere spettatrice.
Mentre Stati Uniti, Cina e Paesi emergenti come India e Brasile ridefiniscono il concetto di leadership spaziale, il vecchio continente rischia di essere relegato a un ruolo marginale. “Rischiamo di diventare il posto dove si viene a comprare startup”, ha avvertito Cristoforetti. Le eccellenze europee, spesso rappresentate da università di alto livello e da startup innovative, sono vulnerabili a investimenti esterni che le sottraggono al controllo locale. Una dinamica che mette in evidenza il limite strutturale di un’Europa troppo frammentata nella definizione di interessi strategici comuni.
Per Cristoforetti, la soluzione passa da un approccio più integrato e ambizioso. Collaborare con partner storici come gli Stati Uniti è importante, ma non sufficiente: l’Europa deve costruire una ‘’massa critica’’ che le consenta di essere competitiva e autonoma. Questo significa sviluppare tecnologie proprie e investire in settori chiave della Space economy, come l’accesso allo spazio, la logistica orbitale e le mega-costellazioni.
Un esempio di questa visione è il programma dell’Esa Leo cargo return service, guidato dalla stessa Cristoforetti. Il progetto mira a creare una capacità europea per trasportare carichi commerciali nello spazio e riportarli a Terra, in un contesto in cui l’orbita bassa sarà sempre più dominata da stazioni spaziali private. “Questo è un primo passo,” ha spiegato l’astronauta, aggiungendo che una volta sviluppato, un simile veicolo potrebbe evolversi in un mezzo per il trasporto di equipaggi, se ci fosse la volontà politica di dotare l’Europa di questa capacità che possiedono Stati Uniti, Russia, Cina e, molto presto, l’India.
La prospettiva delle stazioni spaziali commerciali rappresenta infatti uno scenario imminente. “Quando la Iss finirà, alla fine di questo decennio, inizierà l’epoca delle stazioni commerciali. Quante e quali ancora non si sa, ma offriranno il volo nello spazio come servizio,” ha dichiarato Cristoforetti. Questo significa che anche l’Europa dovrà prepararsi a offrire qualcosa di valore in cambio, per continuare a collaborare come partner capaci, e non essere invece acquirente di servizi non europei.
Inoltre, Cristoforetti non ha evidenziato anche alcune criticità del modello attuale, come la sostenibilità economica del programma Artemis, il progetto americano che punta a riportare l’uomo sulla Luna. “Su Artemis vedo alcune criticità di affordability,” ha osservato, riferendosi al costo elevato del lanciatore Sls e del veicolo per gli astronauti. Il rischio, ha sottolineato, è che decisioni unilaterali degli Stati Uniti possano alterare gli accordi attuali, lasciando l’Europa priva di alternative. “Se domani gli Usa cambiano i parametri di Artemis, noi dobbiamo solo accettarlo. Però molto di quello che abbiamo investito si basa su questo programma.”
Questa dipendenza è un segnale di quanto sia fondamentale, secondo Cristoforetti, investire in capacità autonome critiche, in particolare sull’autonomia nel trasporto, piuttosto che farsi tentare da risultati più facili in settori di nicchia. “Se giochi un ruolo significativo , hai molta più influenza sulle decisione e comunque, anche se il partner cambia idea, puoi crearti opportunità alternative in autonomia,” ha aggiunto.
La nuova corsa allo spazio non è solo una questione tecnologica, ma anche culturale ed economica. Il modello tradizionale dell’industria spaziale, basato su grandi progetti pubblici con un focus sulla sicurezza assoluta, è stato sconvolto dall’ascesa di aziende private come SpaceX. La riduzione dei costi, la riutilizzabilità dei lanciatori e la proliferazione dei piccoli satelliti hanno spostato il baricentro verso un’innovazione più dinamica e accessibile.
In Europa, invece, l’assenza di lanciatori riutilizzabili e una maggiore rigidità operativa hanno penalizzato la competitività del settore. “Le nostre industrie, così come le nostre istituzioni, devono adattarsi a questa evoluzione, con progetti ambiziosi e investimenti coraggiosi da entrambe le parti”, ha sottolineato Cristoforetti, indicando la strada per il futuro.
Il messaggio di Cristoforetti non potrebbe essere più chiaro: il tempo per agire è adesso. Se l’Europa vuole mantenere un ruolo da protagonista nello spazio, deve investire in innovazione, definire priorità strategiche e costruire un ecosistema capace di valorizzare le sue competenze. Non si tratta solo di una sfida tecnologica, ma di una scelta politica e culturale che influenzerà il peso globale del continente nei decenni a venire.
“La nuova Space economy è un’opportunità straordinaria, ma solo se sapremo coglierla con una visione comune e il coraggio di investire sul lungo termine”, ha concluso Cristoforetti. E in un’epoca in cui lo spazio è il nuovo terreno di competizione globale, l’Europa deve decidere se vuole essere protagonista o rimanere spettatrice.