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Così Meloni rafforza la politica Indo-Mediterranea, ora spingere su Imec. Parla Talò

La visita di Meloni in Arabia Saudita segna senz’altro un passaggio fondamentale di una visione geostrategica volta a corroborare la posizione italiana in quell’area. Bin Salman è un leader dinamico che ha in mente un’Arabia Saudita molto diversa sul piano interno e protagonista nel mondo. Gli Accordi di Abramo potranno ripartire dando più spazio alla questione palestinese e normalizzando i rapporti con Israele e gli altri Paesi. Colloquio con l’ambasciatore Francesco Maria Talò

Una visione strategica chiara, che segna la volontà dell’esecutivo di rendere l’Italia protagonista in quella Regione. C’è molto di più di un accordo da dieci miliardi, che pure è piuttosto rilevante, nella visita del premier Giorgia Meloni in Arabia Saudita. È un mosaico geopolitico e l’ambasciatore Francesco Maria Talò ne ha parlato sulle colonne di Formiche.net presentandone i tasselli (anche perché ha contribuito a iniziare a plasmarli).

Il premier Meloni, nel marzo 2023, fece un’importante visita ad Abu Dhabi nel corso della quale vennero di fatto ristabiliti i rapporti con gli Emirati Arabi. Ora, un nuovo passo avanti in quella direzione?

È importante fare riferimento a quella visita perché essa segna l’inizio di un percorso con una visione ampia e strutturata dei rapporti che l’Italia intende avere con una regione cruciale per noi e per gli equilibri globali. Non posso dire che questa visita sia un coronamento del percorso, perché nelle relazioni internazionali non si finisce mai di camminare. Ma la visita di Meloni in Arabia Saudita segna senz’altro un passaggio fondamentale di una visione geostrategica volta a corroborare la posizione italiana in quell’area. La missione del 2023 fu altrettanto importante perché, dopo un periodo di relazioni difficili, non solo venne rilanciato il rapporto con gli Emirati ma si è di fatto creato un rapporto privilegiato con il presidente degli Eau Bin Zayed.

Senza che venissero intaccata i rapporti con il Qatar.

Esattamente. Abbiamo dimostrato che non può esserci un gioco a somma zero nei rapporti con i Paesi della Regione. Con Doha le relazioni si sono infatti consolidate parallelamente. D’altra parte, tra i Paesi di quell’area, esiste competizione ma anche cooperazione. Marciano, in definitiva, nella stessa direzione.

In una recente intervista a Formiche.net il vicepresidente della Commissione Difesa alla Camera, Piero Fassino, ha sostenuto che Bin Salman può essere assimilato a Sadat in termini di normalizzazione dei rapporti in quella zona. Lei come la vede?

Mi sento di condividere questa analisi. D’altra parte noi siamo sempre stati abituati a trattare con monarchi, nella Regione, molto anziani e figli di una visione ancorata al passato. Mohammad Bin Salman è invece un leader dinamico che ha in mente un’Arabia Saudita molto diversa sul piano interno e protagonista nel mondo. La sua idea è quella di un Paese capace di essere incisivo negli equilibri geopolitici, in cui si sviluppano nuove tecnologie, in cui c’è spazio per l’arte, la cultura e lo sport. Fondamentale sarà, in questo senso, l’expo di Riyad in programma nel 2030. Al riguardo mi pare significativa la tendenza rappresentata dalla nuova generazione di leder nei Paesi del Golfo che vede appunto Mbs ma accanto a lui Mbz e l’emiro del Qatar.

In questo contesto come incide il “fattore Trump”?

Già nel corso del suo primo mandato, era chiaro che il presidente Trump ritenesse l’Arabia Saudita un interlocutore privilegiato di quella zona. Da lì si snoda l’onda lunga degli Accordi di Abramo. E, se vogliamo, la considerazione di quel tipo di rapporti tra il mondo arabo e Israele è un elemento di forte continuità fra la presidenza di Trump e quella di Joe Biden.

La situazione a Gaza nonostante i fragili tentativi di tregua è ancora tesissima. Prevede che la strada degli Accordi di Abramo sia ancora percorribile?

Certamente tutti i paesi di quell’area hanno interesse a riprendere quel percorso, benché con presupporti differenti. Ci sono stati, infatti, due sostanziali ostacoli che ne hanno impedito il compimento e che si intrecciano. Il primo è legato alla scarsa considerazione – in seno alla prima formulazione degli Accordi – della questione palestinese. Il secondo è il massacro del 7 ottobre. Fra le cui motivazioni c’era anche l’obiettivo di far fallire il percorso di normalizzazione che vede come tappa cruciale, anche se più difficile, il rapporto tra Arabia Saudita e Israele.

Qual è lo stato dei rapporti fra Arabia Saudita e Israele?

Tra i due Paesi c’è la volontà di una normalizzazione dei rapporti, ma appunto, va anche considerata la questione palestinese. Peraltro, anche questo aspetto va contestualizzato in una cornice più ampia. Ossia il rapporto tra l’Indo-Pacifico, dunque l’India in prima istanza e l’Occidente. Il corridoio Imec, lanciato nel settembre 2023 a New Delhi include Paesi chiave: oltre all’India, gli Emirati, l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti, Israele e, l’Italia. Con, segnatamente, il porto di Trieste come naturale terminale europeo del progetto. In questa prospettiva, occorre rilanciare questa visione Indo-Mediterranea che la premier ha ben chiara senza rinunciare allo snodo fondamentale di Suez. Va sottolineato peraltro che proprio in queste ore il viceministro Cirielli è in partenza per il Kuwait e per l’Oman finendo di “coprire” così tutti i Paesi della Regione. Quindi ponendosi su una linea di perfetta complementarietà con la missione di Giorgia Meloni in Arabia Saudita e Bahrein. Al riguardo mi piace ricordare una frase che mi ha ripetuto più volte il presidente Perez, il padre della start-up nation israeliana.

Ossia?

Lo scomparso premio Nobel per la Pace soleva dire che occorreva passare dal successo tecnologico ed economico di Israele a una star-up region. E questo obiettivo è chiaramente anche nell’interesse dell’Italia e della sua economia, ponendo il Mediterraneo al centro di una rete di rapporti che dall’Indo-Pacifico va all’Atlantico.


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