Conte si deve rassegnare. Sta alzando il tiro, ma non potrà più essere il leader del centrosinistra. Il rischio rottura totale col Pd non lo vedo all’orizzonte perché non conviene a nessuno, ma il gioco così spregiudicato non pone le basi per l’alleanza. Intervista a Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna
“Conte si deve rassegnare. Sta alzando il tiro, ma non potrà più essere il leader del centrosinistra. Il rischio rottura totale col Pd non lo vedo all’orizzonte perché non conviene a nessuno, ma il gioco così spregiudicato non pone le basi per l’alleanza”. Lo dice su Formiche.net Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna e profondo conoscitore delle dinamiche che caratterizzano il dibattito interno al centrosinistra. Il tentativo dei 5 Stelle di Giuseppe Conte, in particolare sulle mozioni legate al piano di difesa europeo, appare molto chiaro: smarcarsi dalla posizione dei dem, alle prese con diverse sensibilità.
Non c’è un concreto pericolo di sfaldare qualsiasi ipotesi di collaborazione tra i partiti rilanciando sempre sul tema della Difesa?
Mi sembra una posizione che ricalca la concorrenza fra i 5 Stelle che cercano di smarcarsi dalla linea del Pd. Anche per ragioni di visibilità. Il punto è senz’altro molto delicato, anche se va riconosciuto il coraggio della posizione Schlein in Parlamento Europeo in ossequio peraltro alle richieste dei cittadini europei.
Quale sarebbe il sentimento dei cittadini europei?
Avere una forza di difesa europea. Non investire per un piano di riarmo che preveda un considerevole numero di risorse spese per sostenere l’industria bellica americana.
Conte fa il pacifista. Ma quando era a capo del governo votò per alzare la spesa militare al 2%. Potrebbe essere una posizione incoerente?
No, quando era a capo del governo ha rispettato un impegno molto preciso assunto in seno alla Nato. Ma nel caso del ReArm Europe non si tratta di allinearsi a 2% della spesa, ma investire una quantità molto alta di fondi per un rafforzamento degli armamenti nazionali dei singoli stati membri. Peraltro, va rilevato il fatto che ci sia stata poca chiarezza su quanto deve essere fatto in ambito Nato, quanto a livello di Ue e quanto dai singoli stati.
Perché tende a escludere una rottura definitiva tra i due partiti?
Non ci sarebbe la convenienza, per nessuno. Forse rompere con il Movimento 5 Stelle, pur riconoscendo il gioco spregiudicato e al rilancio che continua a fare Conte, interessa solo a qualcuno dentro il Pd che ha nostalgie del passato. Non è più tempo del Pd moderato.
Secondo lei è in atto un tentativo di indebolimento della leadership di Schlein a maggior ragione dopo il voto al Consiglio Europeo?
La minoranza interna esercita il suo ruolo. Ma questo non mi stupisce: è sempre stato così all’interno del Pd che, fra l’altro, ha una struttura organizzativa pessima e che fa emergere plasticamente l’assenza di una riflessione interna. Detto questo, il Pd in salsa renziana confinerebbe il partito – come è stato – a una prospettiva di eterna minoranza.
C’è una convergenza tra Salvini e Conte su Ucraina e Difesa europea. Un ritorno di fiamma?
No, questa è una prospettiva del tutto irrealizzabile. Certo, alcune posizioni sono oggettivamente molto simili tra Lega e Movimento 5 Stelle. Però, c’è una differenza sostanziale: Conte non si è mai spellato le mani per sostenere Putin. E questo è qualcosa di sostanziale, che va sempre ricordato.