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Il premierato per Meloni significa stabilità all’estero. Parla Sterpa

In pochi giorni il presidente del Consiglio l’ha ribadito più volte: l’approvazione del premierato è una priorità per il Paese. È la stabilità dell’esecutivo, l’elemento sul quale si costruisce la credibilità nazionale, ma soprattutto internazionale. La capacità di incidere sullo scenario globale è direttamente proporzionale alla solidità del governo. Con due piccole integrazioni, la riforma potrebbe accontentare anche l’opposizione. Colloquio con il costituzionalista Alessandro Sterpa

In pochi giorni il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, l’ha ribadito più volte: l’approvazione del premierato è una priorità per il Paese. Sicuramente è in cima alle priorità del suo esecutivo. Lo ha scandito molto chiaramente anche ieri durante il suo intervento al congresso di Azione, ospite di Carlo Calenda. “La stabilità del governo è tornata a essere un valore. E lo diventa a maggior ragione in chiave estera che è la vera leva sulla quale sta lavorando il capo del governo”. A dirlo su Formiche.net è il costituzionalista, docente all’università della Tuscia, Alessandro Sterpa, autore fra gli altri di Premierato all’Italiana e La Nazione Plurale.

Professore come si spiega questo ritorno di fiamma sul Premierato da parte del presidente Meloni?

Mi sembra del tutto coerente con quanto lei stessa va dicendo da tempo. Dopo una lunghissima fase di audizioni, si apre la fase nella quale alla Camera le opposizioni – se ne hanno – dovranno depositare modifiche al progetto di riforma. Anche perché la seconda lettura è senza emendamenti.

Qual è il rapporto fra questa riforma e la politica estera?

L’elemento sostanziale è legato alla stabilità che questa riforma senz’altro darà agli esecutivi che verranno, una volta approvata. Su questo punto si costruisce la credibilità nazionale, ma soprattutto internazionale. La capacità di incidere sullo scenario globale è direttamente proporzionale alla solidità del governo sul piano interno. Ed è la storia, anche dell’Europa a raccontarcelo. L’Italia quindi deve essere capace di avere governi stabili e duraturi, senza rinunciare ai principi liberali.

Intravede questo rischio?

Il merito di questa riforma è quello di saper coniugare entrambi i piani. La stabilità diventa un valore laddove si inserisce in un contesto, appunto, di principi liberali e democratici che rappresentano l’architrave del nostro sistema istituzionale. Al contrario, Russia e Turchia che pure sono sistemi stabili, non sono retti da principi liberali: sono finte democrazie.

In termini di appeal, questa riforma ha fatto breccia nel cuore dell’elettorato?

Uno degli ultimi sondaggi svolti da Swg (diffuso da IoCambio) conferma che la riforma potrebbe raccogliere un buon apprezzamento da parte dell’elettorato qualora venissero inserite due piccole correzioni.

Quali sono i punti da integrare?

Il riconoscimento dello statuto delle opposizioni e l’inserimento della maggioranza a due terzi per l’elezione del Capo dello Stato. Due elementi, peraltro, già implicitamente presenti nel progetto di riforma. Si tratterebbe solo di esplicitarli.

Sarebbero proposte digeribili per la maggioranza?

Giuridicamente sono accoglibili. Poi, ritengo che in linea di massima per la maggioranza accogliere questi due elementi non sarebbe uno sforzo insostenibile. Al di là delle considerazioni di merito, ritengo che la riforma sul premierato potrebbe essere un’occasione per uscire dall’isterismo della contrapposizione fra maggioranza e opposizione.

Resta ancora sospesa la questione del ballottaggio e del premio di maggioranza, che sono più strettamente legati alla legge elettorale. Quale esito prevede?

La Corte Costituzionale, quando bocciò l’Italicum specificò però che il ballottaggio fosse compatibile con l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Sul premio di maggioranza, ritengo che sarà fissato al 55%. Per diversi ordini di ragioni, fra cui il precedente rappresentato da quanto previsto nell’ambito delle elezioni negli enti locali.


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