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Sulla Difesa europea il Pd è isolato. I riformisti si facciano sentire. Parla Parisi

Quella della segretaria del Pd Elly Schlein sulla difesa europea è una posizione “in contrasto con la linea di condotta prevalente non solo nella sinistra democratica ma in Europa”. I riformisti “traducano la loro voce in un voto conseguente e palese senza paura di apparire minoranza”. E i rapporti con gli Usa? Sono un patrimonio nonostante Trump. Intervista ad Arturo Parisi

Quella della segretaria nazionale del Pd, Elly Schlein sulla difesa comune europea “Non è una virata improvvisa. Ma lo sviluppo di una linea prima incerta, poi contraddittoria, e col passare del tempo almeno oggettivamente in contrasto con la linea di condotta prevalente non solo nella Sinistra democratica ma in Europa”. Non le manda a dire l’ex ministro, docente titolare della cattedra di Sociologia politica all’Università di Bologna e per quasi trent’anni alla guida dell’Istituto Cattaneo, Arturo Parisi, in questa conversazione con Formiche.net. Perfettamente nel solco di quanto sostenuto anche dall’ex premier, Romano Prodi, Parisi auspica una presa di posizione vera della parte riformista del Pd.

Professor Parisi, la posizione di Elly Schlein sulle politiche di difesa europea non rischiano di isolare il Pd anche in seno al gruppo dei socialisti?

A quel che leggo sembra un fatto già in corso. Non un incidente di percorso o il frutto di una incomprensione, ma l’esito di una scelta svolta nel tempo a partire dalla composizione della rappresentanza nel Parlamento europeo.

Come si spiega questa virata, anche a fronte del fatto che padri nobili della sinistra, Prodi in primis, sostengano la necessità di aderire alla linea Von der Leyen?

Ripeto. Non è una virata improvvisa. Ma lo sviluppo di una linea prima incerta, poi contraddittoria, e col passare del tempo almeno oggettivamente in contrasto con la linea di condotta prevalente non solo nella Sinistra democratica ma in Europa. Diciamo pure che l’agenda interna ha sopraffatto quella estera. E la preoccupazione per il risultato delle prossime elezioni nel comune o la regione di turno, sembra totalmente distrarre dall’attenzione al futuro delle prossime generazioni: un futuro che ci chiama in causa come italiani europei dentro il dramma del mondo.

Assistiamo in queste ore a un allineamento tra le posizioni della Lega e quelle del Movimento 5 Stelle. È ancora eludibile il tema di un’alleanza con quest’ultimo a fronte di queste convergenze con uno dei partiti di maggioranza?

Diciamo pure che il Pd paga ora il prezzo dello scatto col quale in occasione della crisi del governo giallo-verde si infilò nel letto di Conte ancora caldo del fedifrago Salvini fino a quel momento alleato proprio nel riconoscimento di quei valori comuni che tornano ora a far sentire la loro voce. Pur di tornare al governo e per paura delle elezioni il Pd perse ancora una volta l’occasione per interrogarsi collettivamente e seriamente sulla propria direzione di marcia, e ancor di più sulla possibilità di una direzione di marcia comune ad un movimento fino ad allora dichiaratamente a lui opposto e in nome di istanze radicalmente avverse alle sue. Fu così saltato quel confronto su un progetto politico comune che ancor oggi Conte chiede seppure solo in segno di sfida. Una occasione preziosa perduta per ambedue le formazioni politiche. Una occasione mancata che presenta ogni volta il suo conto come ogni peccato d’origine. Difronte alla banale necessità istituzionale di distribuirsi dei ministeri un peccato veniale, ma purtroppo un peccato mortale quando si tratta di rispondere alle domande drammatiche di quella che chiamiamo “la Storia”.

Quale deve essere secondo lei la risposta della parte riformista dem alle posizioni della segreteria?

Innanzitutto se di parte si parla, e non di voci individuali ancorché autorevoli, una voce collettiva e comune. Onestamente non si è sentita. Secondo, come ripeto da troppo e voglio ripetere ancora una volta, una voce che si faccia sentire nelle sedi ufficiali. Non sui media. Questo se l’unica formazione politica che ha scelto di chiamarsi Partito è un partito. Terzo, se oltre a dirsi riformisti, i riformisti sono anche democratici traducano la loro voce in un voto conseguente e palese senza paura di apparire minoranza, aiutando così il Partito che si dice Democratico a fare crescere la sua Democrazia.

Lei è stato ministro della Difesa. Il contesto certamente era diverso, benché non privo di sfide. Come valuta la posizione italiana in questo frangente?

Considerate l’urgenza e il dramma dell’ora ancora incerto ma nonostante tutto ancora dalla parte giusta: quella della difesa dell’Europa rispetto alla tenaglia di Trump e Putin che dopo nello schiacciare l’Ucraina vuole schiacciare l’Europa. Lo dico con sincerità guardando ai singoli gesti presenti, ma con preoccupazione pensando ai giorni futuri.

Cosa si aspetta in termini di evoluzione dei rapporti con gli Usa?

Purtroppo dal prevedere siamo già al vedere. E quello che si è già visto ed è sotto i nostri occhi è andato oltre ogni misura che si potesse immaginare. Fino a che gli Usa sono Trump come legalmente il voto gli consente e lo autorizza a dirsi so solo che l’unica voce che con Trump si può usare è quella che “i Trump” capiscono. E non continuo. È per questo motivo che vanno usati tutti i mezzi a nostra disposizione. Ancora non riesco a farmi una ragione di come il capo del Paese guida della Nato possa essere arrivato a prospettare l’annessione in toto o pro parte di territori degli alleati a lui più vicini come il Canada e la Danimarca. Ma io so che nonostante sia maggioranza legale Trump resta nonostante tutto minoranza nella società reale, e confido che il pluralismo dei poteri e delle istituzioni della democrazia degli Stati Uniti faccia sentire presto la loro voce. Ma mentre invito a circondare Trump nella quotidianità del disprezzo più severo imploro i miei concittadini perché, pur nella consapevolezza dei cambiamenti storici, non dimentichino mai le radici e lo spessore della amicizia che ci lega al popolo degli Stati Uniti.


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