C’è molta aspettativa per il viaggio della premier Meloni a Washington e per il suo confronto con l’inquilino della Casa Bianca. Realisticamente, la presidente del Consiglio non potrà piegare le linee guida della nuova amministrazione americana, ma se riuscirà a ottenere un cambio di atteggiamento volto a rafforzare il ponte transatlantico la missione sarà un successo anche per l’Europa. E servirà a frenare le mire cinesi. Colloquio con il presidente della fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello
La parola che deve guidare le analisi sulle aspettative per il viaggio della premier Giorgia Meloni a Washington è: realismo. Quello che “spesso manca nei commenti riferiti alla politica estera” quando invece “dovrebbe essere l’unico criterio al quale attenersi”. A maggior ragione in una fase dei rapporti fra i partner occidentali piuttosto tesa. Quel che è certo, dalla prospettiva del presidente della fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliarello è che nonostante le sirene cinesi “è evidente a molti europei che il buon esito del viaggio di Meloni in Usa potrà giovare anche all’Unione”.
Presidente Quagliariello, quali sono i segnali in questa direzione?
Le parole di incoraggiamento da parte della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen e del leader dei popolari Weber sono molto significative. Così come importante è il nulla osta del presidente francese Macron.
Lo spagnolo Pedro Sànchez tre giorni fa è volato a Pechino. Come legge questa scelta?
Non siamo in una situazione di Guerra Fredda per cui chi va in Cina automaticamente diventa ostile agli Usa. È sicuramente un momento di grandi tensioni e di delicatezze che vanno tenute in considerazione. Anche per questo dovrebbe essere unanimemente auspicato il successo della missione italiana negli Stati Uniti.
Concretamente, secondo lei, cosa potrà ottenere Meloni da questo confronto con l’inquilino della Casa Bianca?
Parto da una premessa. È puramente fantasioso immaginare che la presidente del Consiglio possa piegare – in ossequio al suo rapporto personale con Donald Trump – le linee programmatiche su cui poggia la nuova amministrazione statunitense. Se è vero che i rapporti personali in politica estera sono fondamentali, è altrettanto vero che non ci si può aspettare che siano più forti delle “strutture”. Detto questo, è possibile che Meloni ottenga dal presidente americano un cambio di atteggiamento.
Di che tipo?
Una propensione dell’amministrazione americana a stabilizzare il rapporto transatlantico, a non sottoporlo a stress continui e a corroborarlo con impegni precisi. Se tutto ciò avverrà, la missione sarà un successo dell’Italia anche nella sua proiezione europea.
L’atteggiamento dell’Ue in questo quadro quale deve essere?
Le nazioni principali dell’Europa hanno ben chiaro l’interesse europeo a che il ponte transatlantico non frani. Aspettano, però, dei fatti che possano corroborare questa speranza. Ovviamente ciò non significa che l’Europa non debba andare avanti nel suo percorso di emancipazione. Stiamo parlando di un processo che tuttavia necessita di tempi non brevi. Chi sostiene il contrario, fa pura propaganda. Fra l’altro, è fondamentale che il “ponte” transatlantico non frani anche in chiave di resistenza all’espansionismo cinese.
Il rafforzamento dell’asse transatlantico sarà una sorta di antidoto alle mire del Dragone?
Il rapporto transatlantico non è un atto di fede, benché sia un processo fondamentale e ampiamente sedimentato. Ma occorre fare attenzione affinché alcune disponibilità verso la Cina dimostrate da alcuni Paesi “minori” dell’Europa – penso all’Ungheria, alla Grecia e alla Serbia – non diventino contagiose.
Che segnale deve arrivare dagli Usa?
Il cambio di paradigma auspicato, come esito dell’incontro fra Trump e Meloni. Insomma, gli Usa non devono più percepire il rapporto con l’Unione Europea come qualcosa di parassitario e dannoso. Deve essere tutto il contrario.