Skip to main content

Perché il Piano Mattei rafforza l’alleanza Usa-Italia. Parla Craxi

L’incontro fra Meloni e Trump è stato positivo. Sono emersi elementi tutt’altro che scontati, tra cui la convinzione statunitense che si troverà un accordo con la Ue. Per l’Italia è fondamentale rafforzare le relazioni con gli Usa anche in prospettiva mediterranea e per il Piano Mattei. Il premier ha tenuto il punto sul dossier Ucraina. Spese sulla Difesa? Non basta il bilancio nazionale. Colloquio con la presidente della Commissione Difesa al Senato, Stefania Craxi

“Per gli Stati Uniti avere un paese amico, percepito come tale anche dalle realtà rivierasche arabe o africane, che si occupa fattivamente dell’area (il Piano Mattei ne è l’esempio concreto) costituisce a mio avviso un plus, un interesse reciproco da coltivare”. L’angolo di prospettiva con il quale la presidente della Commissione Esteri/Difesa al Senato Stefania Craxi legge l’incontro di ieri fra il presidente Usa Donald Trump e il premier italiano, Giorgia Meloni è quello della strategia. Perché, dice la senatrice di Forza Italia su Formiche.net, “l’Italia assume ruolo e centralità, tanto nel rapporto transatlantico che nella dimensione europea, se svolge un ruolo in funzione della pace e della stabilità, della crescita e dello sviluppo, dell’area del Mediterraneo allargato”.

Presidente Craxi, il presidente Meloni pur ammettendo di non aver avuto un mandato formale dall’Unione Europea, si è spesa affinché Donald Trump possa venire a Roma per riaprire il dialogo fra Usa e Ue. Questo primo risultato in che modo colloca il nostro paese nella prospettiva comunitaria? 

Partiamo da un assunto. L’Italia, il nostro presidente del Consiglio, non hanno avuto paura, nonostante i proclami dei tanti profeti di sventura, di assumersi un ruolo e una responsabilità in un tornante storico tutt’altro che semplice. Con la missione in terra statunitense abbiamo agito da protagonisti, al servizio di un’Europa che, anche sul piano delle tariffe commerciali, non può che percorrere la strada del dialogo con l’alleato americano. L’incontro è stato positivo. Sono emersi elementi tutt’altro che scontati, tra cui la convinzione statunitense che si troverà un accordo con la Ue e, ancor più importante, l’esigenza di rinnovare le ragioni di un’alleanza strategica insostituibile, perché fondata su un corredo identitario comune.

L’impegno all’aumento delle spese militari, annunciato dal premier italiano, sarà ribadito al prossimo vertice Nato. In che modo questa decisione potrà migliorare i rapporti fra Italia e Stati Uniti e con l’Unione?

Non c’è dubbio che l’aumento delle spese militari, l’assunzione di maggiori responsabilità – economiche ma non solo – all’interno dell’Alleanza atlantica sia un elemento da mettere sul tavolo della discussione tra Stati Uniti e Unione europea. Ma voglio ricordare che badare alla nostra difesa e sicurezza risponde innanzitutto a un nostro interesse, senza dimenticarci che il tema della spesa è un impegno che i partner dell’Alleanza hanno deciso di assumersi nel 2014 al vertice di Riga. E poi, con grande onesta, dobbiamo dire che non è certo una richiesta bizzarra di Trump ma un leitmotiv che, con diverse intonazioni, le Amministrazioni americane ci ripetono da decenni. Le stesse polemiche, le dichiarazioni improvvide e pretestuose sull’odierno disimpegno americano dall’Europa nascondono una realtà che in molti hanno fatto finta di non vedere in questi anni: la riduzione delle truppe statunitensi sul suolo europeo è iniziata oltre un decennio fa con Obama e i tagli al budget della difesa. Il Defense Strategic Guidance prevedeva già allora la riduzione delle truppe statunitensi sul suolo europeo e un progressivo aumento della presenza militare nel Sud-est asiatico. Nonostante ciò, l’Unione e molti governi nazionali, compresi i nostri, si sono cullati nel sogno della pace disarmata. 

A proposito di spese militari, qual è la linea che prevarrà, anche alla luce delle ultime dichiarazioni del ministro Giorgetti? Dove reperire i fondi per gli investimenti?

Non c’è una linea che deve prevalere sull’altra, ma c’è la necessità di costruire un percorso. Teoricamente adeguando i criteri contabili italiani a quelli seguiti da altri Paesi, pensiamo alla Germania, l’Italia potrebbe formalmente raggiungere già quest’anno la fatidica soglia del due per cento. Ma, in tutta onesta, senza questo ricalcolo, siamo ben lontani da quell’obiettivo. Il target italiano per l’anno corrente è pari all’1,57 per cento del Pil, lo 0,3 in più di quello del 2024. Al netto del ricalcolo siamo lontani circa 10 miliardi dall’obiettivo del due per cento e circa il triplo nel caso il prossimo vertice Nato dovesse aumentare le spese al 3,5 per cento del Pil. È evidente che per aumentare la spesa in sicurezza e difesa molti paesi, tra cui l’Italia, non potranno basarsi sul solo bilancio nazionale, nonostante la pur condivisibile deroga al Patto di stabilità. Così facendo non solo rischiamo di non raggiungere gli obiettivi sperati ma rischiamo di avere grandi squilibri tra le diverse realtà europee. Una difesa europea, gamba europea della Nato, ha bisogno di uno strumento finanziario adeguato, di un debito comune per far crescere in modo armonico e coordinato una politica estera e di difesa comune. E, auspicabilmente, di una riforma dei Trattati.

Come potrà incidere questo colloquio nel tentativo di risoluzione del conflitto in Ucraina e in Medio Oriente?

Mi preme sottolineare come Meloni abbia tenuto il punto anche sul dossier ucraino. Capisco le opposizioni che, divise come sono, possono solo fare gli agitatori di turno, ma la posizione del governo italiano in questo frangente è improntata a criteri di equilibrio e saggezza: non cede a napoleoniche fughe in avanti e non ha alcun tentennamento quando c’è da assumere una posizione o da tenere la barra dritta. Quanto alla soluzione dei conflitti in Ucraina e ancor più in Medioriente credo sarebbe del tutto velleitario immaginare che un colloquio, pur tra due attori fondamentali, possa incidere in qualche modo. È evidente, però, che un’intesa euro-atlantica, la capacità di camminare insieme, sarebbe di grande aiuto per la ricerca di una pace giusta e possibile e per limitare i margini di manovra di alcuni attori internazionali che vorrebbero sfruttare i conflitti, le nostre divisioni, per accrescere i loro interessi e la loro influenza. 

Oltre i dazi, su cui l’auspico è quello di trovarsi a “metà strada”, in termini strategici lei ha parlato di un rafforzamento delle relazioni transatlantiche in particolare per il dossier mediterraneo e il Piano Mattei. Come immagina l’impegno statunitense lungo queste due direttrici?

È evidente che, contingenze a parte, l’Italia assume ruolo e centralità, tanto nel rapporto transatlantico che nella dimensione europea, se svolge un ruolo in funzione della pace e della stabilità, della crescita e dello sviluppo, dell’area del Mediterraneo allargato. L’iniziativa italiana, il Piano Mattei, è una strategia aperta che mettiamo in condivisione con i partner europei e internazionali. Specie per gli Stati Uniti avere un paese amico, percepito come tale anche dalle realtà rivierasche, arabe o africane, che si occupa fattivamente dell’area, costituisce a mio avviso un plus, un interesse reciproco da coltivare. Per questo penso che, insieme, potremmo immaginare forme di sostegno non solo politico, come avvenuto al G7, ma anche finanziarie al Piano Mattei. Se irrobustito può essere uno strumento formidabile per l’intera Regione e un’arma politica da contrapporre ai nostri rivali sistemici.

Oggi è a Roma il vicepresidente statunitense Vance, cosa si aspetta?

In politica bisogna aspettarsi tutto e niente. Senza nasconderci le difficoltà, dobbiamo sapere che ieri è iniziato un percorso di dialogo e di confronto costruttivo tra Europa e Stati Uniti. Un dialogo che parte dai Dazi ma che va gioco-forza oltre. La vista di Vance è un’ulteriore tappa, è un passaggio ulteriore, mi auguro concreto, di una maratona che, come scrive stamani il quotidiano belga Le Soir, vede l’Italia nel ruolo di apripista, come testimoniano anche i colloqui continui tra il governo italiano e i vertici di Bruxelles di queste ore. Il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sta lavorando alacremente in tal senso. E chi come la Schlein o Conte parla di un “bilancio magro” si rende ridicolo agli occhi europei che, invece, comprendono il valore e la necessità di alimentare canali di dialogo tra le due sponde dell’Atlantico. Ecco, l’incontro con Trump, l’arrivo di Vance, smentisce la teoria secondo cui l’Italia doveva scegliere tra Europa e Stati Uniti. Non siamo a un bivio ma a un crocevia della Storia, in cui possiamo camminare solo insieme.


×

Iscriviti alla newsletter