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Difesa Ue, conventio ad escludendum per l’Italia? L’accusa di Gambino (Ecr)

Intervista all’europarlamentare di Ecr/FdI, vicepresidente della Commissione Difesa: “Il testo votato dal Parlamento europeo presenta una serie di vincoli che sembrano cuciti su misura per rafforzare le grandi industrie di Francia e Germania, escludendo o marginalizzando Paesi come l’Italia”, spiega. E sui rapporti con Stati Uniti e Regno Unito, in ambito Nato e industriale, aggiunge: “Sono parte integrante del nostro sistema di sicurezza”

FdI e FI sono contrari al nuovo regolamento Edip, il programma per rafforzare la base industriale e tecnologica della Difesa Ue, che è stato approvato dalle commissioni Industria e Difesa dell’Europarlamento e che mette alcuni paletti all’Italia. Paletti che potrebbero pregiudicarne la partecipazione effettiva con aziende leader nel settore. Una situazione che secondo l’europarlamentare di Ecr/FdI Alberico Gambino, vicepresidente della Commissione Difesa, sembra rafforzare le grandi industrie di Francia e Germania, escludendo o marginalizzando paesi come l’Italia. “I rapporti con gli Stati Uniti e con il Regno Unito, in ambito Nato e industriale, sono parte integrante del nostro sistema di sicurezza e della nostra competitività tecnologica”.

Francia e Germania stanno provando a far fuori l’Italia dall’industria della difesa Ue?

Non si tratta di una teoria del complotto, ma di una dinamica evidente. Il testo votato dal Parlamento europeo presenta una serie di vincoli che sembrano cuciti su misura per rafforzare le grandi industrie di Francia e Germania, escludendo o marginalizzando Paesi come l’Italia. Le evidenze ci sono: la composizione della squadra dei relatori (entrambi francesi), l’orientamento dell’impianto normativo, e perfino l’assenza di criteri oggettivi di trasparenza nell’assegnazione dei fondi. L’Italia, come anche altri Paesi dell’Ue, invece, ha un ecosistema innovativo, diffuso e competitivo, che va difeso con forza. Per questo, con Fratelli d’Italia, abbiamo detto no a questa impostazione sbilanciata. Si è costruito un quadro che, più che rafforzare l’industria europea, rischia di frammentarla ulteriormente, privilegiando gli attori consolidati invece di favorire la resilienza e la diversità industriale dell’intero sistema. Il rischio è che si indebolisca la capacità produttiva effettiva dell’Europa proprio in una fase in cui servirebbero prontezza, interoperabilità e rapidità di consegna.

Le percentuali “made in Europe” troppo alte favorirebbero in concreto la Francia e penalizzano l’Italia?

Sì, se non accompagnate da realismo e flessibilità. L’obiettivo di rafforzare la base industriale europea è condivisibile, ma va perseguito tenendo conto della situazione reale: oggi siamo ancora fortemente dipendenti da filiere internazionali. Pretendere soglie di componenti di produzione europea troppo elevate e immediate significa, di fatto, escludere le imprese che, come molte italiane, collaborano da anni con partner anglosassoni o atlantici. Questo approccio, che si presenta come europeista, rischia in realtà di cristallizzare un vantaggio competitivo per pochi grandi attori, penalizzando chi innova davvero. È paradossale puntare a un’industria della difesa europea autonoma limitando proprio quelle collaborazioni transnazionali che ne aumenterebbero efficienza, interoperabilità e capacità produttiva. Occorre evitare la creazione di una cortina normativa che finirebbe per ostacolare i fornitori più agili e innovativi, proprio quelli di cui l’Europa ha più bisogno.

Perché qualcuno pensa che il rapporto con gli Usa pregiudichi la nostra autonomia strategica?

C’è una componente del dibattito europeo che tende a confondere autonomia con chiusura. Ma l’autonomia strategica, per essere reale, deve basarsi su capacità concrete, e queste oggi passano anche da collaborazioni transatlantiche. I rapporti con gli Stati Uniti e con il Regno Unito, in ambito Nato e industriale, sono parte integrante del nostro sistema di sicurezza e della nostra competitività tecnologica. Pensare di costruire un’autosufficienza europea nel vuoto, ignorando queste sinergie, è un errore strategico che rischia di indebolirci, non di rafforzarci. La cooperazione con i nostri alleati storici deve rimanere un pilastro dell’azione europea. L’idea che per essere autonomi si debba essere isolati è una distorsione concettuale che non serve né all’Europa né all’Italia. La vera autonomia strategica si costruisce su partnership solide, filiere integrate e capacità di scelta indipendente, non su recinti ideologici.

L’Italia, grazie alla posizione mediterranea e all’eccellenza tecnologica, può ottenere vantaggi industriali significativi, bilanciando opportunamente risorse tra difesa e welfare: come l’azione di Ecr a Bruxelles potrà favorire le potenzialità italiane?

Come gruppo Ecr stiamo lavorando per garantire che la difesa europea non sia costruita su logiche centraliste, ma sulla valorizzazione di tutte le eccellenze. In sede parlamentare abbiamo difeso il principio secondo cui ogni Stato membro debba poter contribuire con le proprie capacità specifiche allo sviluppo dell’industria europea della difesa, senza imposizioni dall’alto né discriminazioni indirette. Ecr continuerà a battersi affinché Paesi come l’Italia non siano comprimari, ma attori di primo piano nella costruzione di una difesa europeo efficace e realmente funzionale alla sicurezza dei cittadini. Ora attendiamo l’inizio di una tappa cruciale del processo legislativo: i negoziati tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione europea, durante i quali le tre istituzioni cercheranno di raggiungere un accordo politico sul testo finale del regolamento. È in questa sede che ci si confronterà per migliorare il regolamento e correggerne le distorsioni, in particolare legate ai criteri di eligibilità, con l’obiettivo di raggiungere un compromesso equo, pragmatico e funzionale. Auspichiamo che in questa fase prevalga un approccio pragmatico, fondato su criteri oggettivi e orientato a rafforzare realmente l’efficacia dell’industria europea della difesa.


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